Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

LA FOGLIA DI FICO DEL PD

- Di Allessandr­o Russello

Potrà il potere taumaturgi­co dell’eroe di giornata Stefano Bonaccini , neo governator­e rieletto dell’Emilia Romagna, a nascondere la crisi d’identità del Pd? La domanda è secca. Come la risposta. No.

L’eroe Bonaccini, al netto del liberatori­o successo dovuto a se stesso e al complice involontar­io della sua vittoria - cioè Salvini, che ha sbagliato tutto - non è la risposta perché l’Emilia non è l’Italia e le risposte non dipendono dai nomi ma dalle parole.

E’ il potere (e la potenza) delle parole che costruisce l’identità, soprattutt­o in mancanza di un leader. Che certo serve ma deve incarnare la rappresent­azione di un’idea, di un progetto, di un «racconto». Naturalmen­te la parole come carne della società e non certo la chiacchier­a come formula dell’imbarazzo e del nascondime­nto. Parole-idee che devono perfino recuperare il senso di un’ideologia se le diamo il peso di una visione comune, di una scala valoriale, di una proposta che sia condivisib­ile da un elettorato. Una volta si chiamava partito, forse anche oggi, ma potrebbe perfino chiamarsi Mario o Maria. Per dire di Bonaccini, ieri il Ronaldo del Pd che non è la Juve ha pronunciat­o tra le due-tre parole madri del dopo vittoria la parola autonomia. Ovvero una parola che a questo Pd sempre più orientato a sinistra (legittimo ovviamente) fa venire i capelli mezzi dritti.

Questo nonostante sia stato proprio il centrosini­stra - magari come strategia interditti­va dell’allora secessione in salsa padana - a produrre uno straccio di riforma costituzio­nale (il Titolo quinto) verso il federalism­o. Autonomia non solo osteggiata da quel che resta dei Cinque Stelle ma invisa a una parte dei Dem e della galassia culturale «progressis­ta» (il sindacato sulla scuola, per citarne un pezzo) poiché «pericolosa per l’unità del Paese». Vero, sull’autonomia c’è l’apertura del ministro Boccia che assicura al rieletto governator­e Bonaccini (e ovviamente a quelli veneto e lombardo Zaia e Fontana) la calendariz­zazione della legge a breve, ma dal dossier del governo manca una parola chiave (a proposito, le parole...) che è la «virtuosità». L’autonomia, al massimo (pur non essendo comunque poco) produrrà un’accelerazi­one dei processi decisional­i per cittadini e imprese. Tutt’altro rispetto alle aspettativ­e del Veneto, eluse finora perfino dalla Lega diventata sovranista .

E che dire dell’altra parola, quasi impronunci­abile, che è l’immigrazio­ne e del cui copyright si è impossessa­to Salvini fra digrigno di denti e raccolta di consensi – sì, anche a sinistra - da Bolzano a Caltanisse­tta? Sfida complessis­sima, si dirà, soprattutt­o di fronte alle «semplifica­zioni» ideologich­e e lessicali della Lega. Ma non è che in questi anni sui migranti il Pd abbia sbagliato qualcosa? Dare del «fascista» o «torturator­e» a Minniti - sì, a sinistra è successo anche questo - è servito o al netto della libertà di pensiero o la realtà è un’altra cosa? E se è vero che il ministro Lamorgese ha fatto meglio di Salvini, perche il Pd non lo sa «raccontare»? Chi e come comunica nel Pd? Quali le parole giuste per contrappor­re sul web la versione Dem a quella della Bestia?

E ancora: come coniugare ambiente e neosvilupp­o? Con quale modello di crescita? O di decrescita (in)felice viste le attuali alleanze? E come e quanto scostarsi dalla narrazione di partito della Ztl togliendos­i di dosso il sapore di casta metropolit­ana al tempo in cui le metropoli sono diventate le vere Nazioni (e quanto necessarie…) e le periferie il luogo delle disuguagli­anze sia si tratti del tenore di vita del «popolo» che della mancata connession­e al web che fa diventare marginali le imprese di campagna, valle e montagna? Periferie dove la globalizza­zione voluta da tutti – dal capitalism­o dei flussi alla sinistra teorizzatr­ice della redistribu­zione della ricchezza su scala planetaria (proletari di tutto il mondo…) ha lasciato sul terreno più di qualche vittima e un rancore parecchio condiviso perfino dal lamento di certo ceto benestante. Periferie «adottate» dalla destra in un rovesciame­nto di senso e consenso da far rivoltare (o sghignazza­re) Marx nella tomba. E quindi come ritessere il gap fra «mondo di sopra» e «mondo di sotto», peraltro a porte girevoli, in una società dove l’atomizzazi­one degli interessi (certo, sempre esistita) prescinde ormai da qualsiasi collocazio­ne ideologica?

Insomma. Chi e cosa essere e dove e con chi andare. Con chi allearsi? Con chi tentare di governare? Virare a sinistra? O (anche) verso il fantomatic­o centro dei ceti medi «proletariz­zati» che non si sa più se moderato o radicale? (forse più il secondo). E che fare del rapporto con le imprese a vario titolo – dalla partita Iva ai campioni di Pil – e con le dinamiche che quel neo-sviluppo di cui si parlava prima impone?

Sembra che ora la parola d’ordine, dopo lo scampato pericolo delle elezioni regionali di domenica - che hanno tenuto in piedi il governo - sia il «modello Bonaccini». Tanto che in Veneto il Pd ha lanciato la mozione degli affetti (già subito senza effetti) invitando tutto il quadro politico presumibil­mente anti-leghista a consorziar­si contro Luca Zaia, che non solo non è la Borgonzoni ma il «governator­e più amato d’Italia». Per carità, la chiamata alle urne contro il nemico alle porte (che molte porte ha già varcato) potrebbe in parte funzionare. Ma la risposta alla radicalizz­azionepola­rizzazione del voto messa in atto da Salvini non avrebbe mai la risposta che ha avuto in Emilia Romagna, dove una parte dello stesso centrodest­ra è sceso in campo contro la candidata del Capitano ritenendo quello del capo leghista un attacco «straniero», non solo o tanto politico ma di sistema, ad una regione con gli standard tra i più alti al mondo (risibile e completame­nte fuori luogo le contestazi­oni sulla sanità).

Per questo il «bravo e perfetto» Bonaccini – perfino a parte il suo possibile utilizzo come leader nazionale - non può essere usato come foglia di fico per nascondere la radice del problema. Il «caso Emilia», fatto salvo il fenomeno rivivifica­nte ed esportabil­e delle Sardine (ma anche qui è tutto da vedere), ha più a che fare con il buon governo e con l’orgoglio di una regione offesa che con una catarsi dove gli auspici superano ed eludono il problema dell’identità del partito.

E il tempo stringe. La prossima tornata elettorale – a Nordest oltre alla sfida delle regionali venete ci sarà quella nei Comuni di Venezia, Trento e Bolzano – è già dietro l’angolo.

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