Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Villetta con gli ospiti», Nordest e stereotipi
Il film di Ivano De Matteo propone una visione del Veneto non priva di luoghi comuni, fra dialetto e soliti vizi
Stereotipi, luoghi comuni, gratuite ironie, forse anche poca fantasia. E un Veneto fatto di ipocrisie, di tradimenti, dialetto slavato e forzatamente calcato, dei soliti vizi, nei, segreti, fragilità e falsità (tante) e dalle rare virtù quello che ricalca gli schermi. Magari pure col contributo (i soldi) delle pubbliche istituzioni. Per carità, quando si promuove cultura, val sempre bene fare qualche sforzo, accettare il confronto, in fondo cogliere la sfida: può aiutare a interrogarsi, a crescere e migliorare. Trovo difficile, però, individuare capacità di reazione (positiva) di fronte a pellicole come Villetta con ospiti, film di Ivano De Matteo, con un disincantato Marco Giallini, e poi Michela Cescon, Massimiliano Gallo e Erica Blanc, nelle sale della regione, in questi giorni. Esterni a Bassano.
La trama: tutta in ventiquattro ore, la solita famiglia piccola borghese, con una serie di scheletri non solo in cantina, e alla fine un dramma. Senza voler difendere la «veneticità» a tutti i costi, vien da dire che il solito nostro Nordest non può fare spettacolo, così, e quello rappresentato non può certo essere additato ad esempio. Per carità, nessun moralismo, tanto più che le provocazioni dell’arte, anche cinematografica, meritano considerazione. Ma un pizzico di disapprovazione per come continuano a raccontarci, consentitecelo.
Qui non c’è neppure la stuzzicante ironia di Pietro Germi & emuli, che ha nutrito le critiche di sessant’anni fa, e la profondità di pensiero o le stimolanti proposte di certi registi di noir (ogni riferimento a Louis Malle è puramente casuale) che in fondo appassionano lo spettatore.
La domanda resta sempre la stessa: quanto la musa del cinema aiuta a riflettere, dopo aver descritto anche le contraddizioni della società, e, soprattutto, quanto si può fare perché l’indagine sulla nostra società, che il cinema facilita con le sue espressioni, può servire a raccontare, inquietare e migliorare, quanto produce di bellezza e armonia? Forse non basta che si soffermi per qualche fotogramma sulle amenità del paesaggio, sulla suggestione emotiva di un territorio e del suo habitat, per definire il ritratto di una regione e della sua gente, di una cultura del rispetto e della tolleranza.
Non basta compiacersi col fatto che per qualche giorno, o qualche settimana, una troupe ha soggiornato per le riprese, qui, da noi, portando un beneficio economiche alle strutture ricettive, se poi, quanto riassume ed esplicita, è una pellicola di così rare virtù, con tutto il rispetto dovuto agli interpreti e pure ai critici cinematografici ed alla loro saggezza. Senza comunque voler negare la «metà oscura» che pur c’è in ciascuno di noi. Ma diamo una seconda chance al regista.