Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«A Padova ha funzionato, Il Pd non aveva candidati ha fatto la scelta giusta»
Per una volta nella vita che ci hanno preso, lasciamogli il tempo (e lo spazio di manovra) necessario per costruire, piano piano, un’alternativa spendibile allo Zaiastan, inteso come il territorio governato a furor di popolo da Luca Zaia. Massimo Cacciari, filosofo e più volte sindaco di Venezia – nonché sfidante di Giancarlo Galan per la presidenza della Regione nell’ormai archeologico anno Duemila –, impartisce la sua personalissima benedizione alla scelta dei dirigenti del centrosinistra veneto, che ha portato alla candidatura del professore e vicesindaco padovano Arturo Lorenzoni come portabandiera delle truppe di centrosinistra, impegnate contro soverchianti forze nemiche nella prossima battaglia per palazzo Balbi.
Professor Cacciari, ha fatto bene il Pd a puntare su un candidato «civico» per la Regione?
«La scelta di Lorenzoni indica un metodo giusto: il “modello” applicato a Padova, di cui Lorenzoni è espressione, ha avuto successo. Ora, è evidente che a livello regionale non ci sono le stesse condizioni ma è già qualcosa che i dirigenti del centrosinistra abbiano capito che a Padova è stata fatta una cosa buona. Segno che cominciano a ragionare».
Era così fuori luogo convocare delle primarie per la scelta del candidato?
«Ma le primarie si fanno quando non c’è nessuno che metta tutti d’accordo! Se c’è una scelta condivisa, le primarie sono soltanto una perdita di tempo e il più delle volte finiscono per dividere».
Scegliendo di puntare sul civico Lorenzon, però, sembra che il Pd abbia pudore a candidare un suo rappresentante.
«Pudore? Semplicemente, hanno capito di non averlo, un candidato giusto».
Molti sostengono che questa scelta rappresenti uno spostamento a sinistra.
«Non conosco a sufficienza Lorenzoni per dare un giudizio su questo. Ma ribadisco che a Padova l’operazione ha dato ottimi risultati e nel Pd hanno capito che quello era l’unico schema percorribile».
La partita elettorale contro Zaia, però, sembra persa in partenza: come si può costruire qualcosa di buono per le battaglie a venire?
«Il punto è proprio questo: si deve costruire, non perdersi
a cercare il presunto leader di turno. E bisogna capire che un’alternativa si costruisce piano piano, nuotando controcorrente. La grande occasione per cambiare il corso politico di questa regione si è bruciata alla fine dello scorso millennio, quando sono state prese a pallettoni le istanze federaliste che venivano anche dal centrosinistra».
Quindi, non può che rivincere Zaia?
«Zaia ha amministrato decentemente, ma i veneti hanno rapidamente dimenticato un fatto: il gruppo dirigente è sempre quello di Galan, è quello del Mose e del disastro delle banche Popolari. Colpa dei veneti? Niente affatto, la colpa è di un’opposizione che non è stata capace di far pagare a quelli della maggioranza le colpe, probabilmente perché era messa peggio di loro».
Anche dall’altra parte, si veda l’Emilia, ogni tanto fanno degli errori.
«Ma state tranquilli che qui Zaia non porterà mai in giro Salvini a suonare ai citofoni! Anzi, credo proprio che Salvini in Veneto lo vedremo poco».
A proposito di campagna: come si può, da sinistra, parlare al Veneto di immigrazione, di tasse, di diritti?
«L’ho detto prima, ci si può riuscire andando controcorrente, per esempio facendo ragionare la gente sull’invasione immaginaria dei migranti: ci sono i numeri ufficiali, i fatti, con cui si possono confutare le invenzioni altrui. Se si va controcorrente si fatica ma non si annega, sono quelli che seguono l’onda che prima o poi ne vengono sommersi».
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Gli errori degli avversari
State tranquilli che qui Zaia non porterà mai in giro Salvini a suonare ai citofoni. Anzi, credo che in Veneto lo vedremo molto poco