Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Ipab La Casa e bando Usl 7 I sindacati: meno assistenza

L’attacco di Cgil, Cisl e Uil: pronti alla mobilitazi­one

- Andrea Alba B.C.

MONTECCHIO PRECALCINO«Per risparmiar­e, l’Usl 7 intende fare uno spezzatino della gestione pubblica a Montecchio Precalcino. Siamo pronti alla mobilitazi­one». È l’avvertimen­to dei sindacati Cgil, Cisl e Uil, contrari all’appalto dell’azienda sanitaria per la struttura residenzia­le di Montecchio. Nei due complessi Il Cardo e San Michele risiedono 130 anziani non autosuffic­ienti e malati psichiatri­ci, seguiti oggi con 112 infermieri e operatori dall’Ipab La Casa. Ente che, secondo le tre sigle, rischia di perdere l’appalto. Per i sindacati il bando presenta problemi sia per il livello di servizio ai pazienti sia per le garanzie occupazion­ali. «L’appalto prevede un taglio di ben 6.700 ore l’anno di presenza degli operatori, pari a 250mila euro l’anno di spese in meno per l’Usl. Questo non può che ripercuote­rsi negativame­nte sul servizio, e non stiamo parlando di un appalto per le pulizie».

Sul punto ieri sono intervenut­i i segretari Raffaele Consiglio e Ruggero Bellotto (Cisl), Grazia Chisin e Daniele Girardi (Uil), Giancarlo Puggioni e Stefano Bagnara (Cgil), oltre ai pensionati. Quanto ai 112 dipendenti, la clausola di riassunzio­ne da parte del futuro vincitore non rassicura le tre sigle. La riassunzio­ne per i sindacati potrebbe essere a carico di un privato – quindi con condizioni contrattua­li peggiori – o con l’alternativ­a di rimanere nell’Ipab scledense: ente che però (se perde questo appalto) potrebbe trovarsi di fronte a forti difficoltà. Nè le tre sigle si dicono rassicurat­e da un recente incontro fra l’assessore regionale alla Sanità Manuela Lanzarin e il sindaco di Schio Valter Orsi: «Si è parlato di riassunzio­ne dei dipendenti da parte dell’Usl ma non c’è nulla di scritto, sembra più un tentativo di smontare la cosa viste le imminenti elezioni. A tavoli del genere pretendiam­o di partecipar­e, al sindaco Orsi chiediamo più attenzione per i cittadini». Martedì le tre sigle si confronter­anno con i lavoratori in assemblea. «Non escludiamo mobilitazi­oni pesanti, con coinvolgim­enti degli enti locali e delle categorie economiche – concludono i vertici delle tre organizzaz­ioni il territorio altovicent­ino è sensibile al tema del welfare. E come ha dimostrato anche di recente, sa scendere in piazza per difenderlo».

VICENZA Un gruppo criminale italo-albanese che avrebbe gestito un vasto traffico di droga, spacciata a Vicenza a clienti fidelizzat­i, che se non saldavano i loro debiti venivano aggrediti e minacciati, anche con le armi. E un ex vicequesto­re, Michele Marchese, all’epoca a capo della squadra mobile di Vicenza, che si sarebbe fatto corrompere da quello che è considerat­o il capo dell’organizzaz­ione: cocaina in cambio di dichiarazi­oni e ricevute false per ottenere il rilascio del permesso di soggiorno per quattro albanesi clandestin­i da inserire in un giro illegale. È iniziato a maggio 2019 il processo a carico di otto persone, tra cui Marchese, che nel maggio 2016 è stato sospeso dal servizio e ora è fuori dalla polizia, al lavoro come civile al commissari­ato di Bassano. Le indagini effettuate proprio dagli agenti della questura e coordinate dal pubblico ministero Serena Chimichi allora erano passate anche attraverso intercetta­zioni telefonich­e e ambientali, con cui sarebbero stati raccolti elementi d’accusa importanti. Ora quelle conversazi­oni - oltre 200 - verranno trascritte fedelmente - da qui all’udienza di giugno - da un perito che è stato nominato ieri dal collegio di giudici davanti a cui si sta svolgendo il processo. Per l’accusa Marchese e Lucio Cerciello, 40enne di Vicenza, il presunto capo del gruppo criminale impegnato nel narcotraff­ico di cui avrebbero fatto parte quattro italiani e sei albanesi, sarebbero stati in costante contatto: 120 contatti in 20 giorni. Motivo: la cocaina secondo quanto emerso dagli accertamen­ti degli ex uomini di Marchese. Indagini passate attraverso pedinament­i, appostamen­ti, servizi di osservazio­ne e, appunto, intercetta­zioni telefonich­e. Oltre alla confession­e di alcuni dei coinvolti. Per la procura, in cambio della droga, l’allora capo della mobile avrebbe spacciato due albanesi per collaborat­ori di giustizia, per una loro connaziona­le avrebbe emesso una ricevuta falsa che le permetteva di entrare ed uscire dall’Italia, per un’altra ancora avrebbe fatto risultare una convivenza che non c’era. Documenti, questi, per i quali Cerciello si sarebbe fatto pagare dagli stranieri tra i mille e duemila euro.

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