Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Ipab La Casa e bando Usl 7 I sindacati: meno assistenza
L’attacco di Cgil, Cisl e Uil: pronti alla mobilitazione
MONTECCHIO PRECALCINO«Per risparmiare, l’Usl 7 intende fare uno spezzatino della gestione pubblica a Montecchio Precalcino. Siamo pronti alla mobilitazione». È l’avvertimento dei sindacati Cgil, Cisl e Uil, contrari all’appalto dell’azienda sanitaria per la struttura residenziale di Montecchio. Nei due complessi Il Cardo e San Michele risiedono 130 anziani non autosufficienti e malati psichiatrici, seguiti oggi con 112 infermieri e operatori dall’Ipab La Casa. Ente che, secondo le tre sigle, rischia di perdere l’appalto. Per i sindacati il bando presenta problemi sia per il livello di servizio ai pazienti sia per le garanzie occupazionali. «L’appalto prevede un taglio di ben 6.700 ore l’anno di presenza degli operatori, pari a 250mila euro l’anno di spese in meno per l’Usl. Questo non può che ripercuotersi negativamente sul servizio, e non stiamo parlando di un appalto per le pulizie».
Sul punto ieri sono intervenuti i segretari Raffaele Consiglio e Ruggero Bellotto (Cisl), Grazia Chisin e Daniele Girardi (Uil), Giancarlo Puggioni e Stefano Bagnara (Cgil), oltre ai pensionati. Quanto ai 112 dipendenti, la clausola di riassunzione da parte del futuro vincitore non rassicura le tre sigle. La riassunzione per i sindacati potrebbe essere a carico di un privato – quindi con condizioni contrattuali peggiori – o con l’alternativa di rimanere nell’Ipab scledense: ente che però (se perde questo appalto) potrebbe trovarsi di fronte a forti difficoltà. Nè le tre sigle si dicono rassicurate da un recente incontro fra l’assessore regionale alla Sanità Manuela Lanzarin e il sindaco di Schio Valter Orsi: «Si è parlato di riassunzione dei dipendenti da parte dell’Usl ma non c’è nulla di scritto, sembra più un tentativo di smontare la cosa viste le imminenti elezioni. A tavoli del genere pretendiamo di partecipare, al sindaco Orsi chiediamo più attenzione per i cittadini». Martedì le tre sigle si confronteranno con i lavoratori in assemblea. «Non escludiamo mobilitazioni pesanti, con coinvolgimenti degli enti locali e delle categorie economiche – concludono i vertici delle tre organizzazioni il territorio altovicentino è sensibile al tema del welfare. E come ha dimostrato anche di recente, sa scendere in piazza per difenderlo».
VICENZA Un gruppo criminale italo-albanese che avrebbe gestito un vasto traffico di droga, spacciata a Vicenza a clienti fidelizzati, che se non saldavano i loro debiti venivano aggrediti e minacciati, anche con le armi. E un ex vicequestore, Michele Marchese, all’epoca a capo della squadra mobile di Vicenza, che si sarebbe fatto corrompere da quello che è considerato il capo dell’organizzazione: cocaina in cambio di dichiarazioni e ricevute false per ottenere il rilascio del permesso di soggiorno per quattro albanesi clandestini da inserire in un giro illegale. È iniziato a maggio 2019 il processo a carico di otto persone, tra cui Marchese, che nel maggio 2016 è stato sospeso dal servizio e ora è fuori dalla polizia, al lavoro come civile al commissariato di Bassano. Le indagini effettuate proprio dagli agenti della questura e coordinate dal pubblico ministero Serena Chimichi allora erano passate anche attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, con cui sarebbero stati raccolti elementi d’accusa importanti. Ora quelle conversazioni - oltre 200 - verranno trascritte fedelmente - da qui all’udienza di giugno - da un perito che è stato nominato ieri dal collegio di giudici davanti a cui si sta svolgendo il processo. Per l’accusa Marchese e Lucio Cerciello, 40enne di Vicenza, il presunto capo del gruppo criminale impegnato nel narcotraffico di cui avrebbero fatto parte quattro italiani e sei albanesi, sarebbero stati in costante contatto: 120 contatti in 20 giorni. Motivo: la cocaina secondo quanto emerso dagli accertamenti degli ex uomini di Marchese. Indagini passate attraverso pedinamenti, appostamenti, servizi di osservazione e, appunto, intercettazioni telefoniche. Oltre alla confessione di alcuni dei coinvolti. Per la procura, in cambio della droga, l’allora capo della mobile avrebbe spacciato due albanesi per collaboratori di giustizia, per una loro connazionale avrebbe emesso una ricevuta falsa che le permetteva di entrare ed uscire dall’Italia, per un’altra ancora avrebbe fatto risultare una convivenza che non c’era. Documenti, questi, per i quali Cerciello si sarebbe fatto pagare dagli stranieri tra i mille e duemila euro.