Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Noi pronti a turni che non finiscono mai»
A Schiavonia: «Ricordo la notte in cui è morto Adriano Trevisan, surreale. Siamo lontani dal mondo». A Mirano: «Qui facciamo i salti mortali»
VENEZIA Sono stanchi, sfiniti, preoccupati. Lavorano senza sosta, il virus ha spazzato via turni di riposo, tempo libero, spazio per le famiglie, ma loro resistono, con e senza mascherine, innamorati «del mestiere più bello del mondo», orgogliosi di «essere uomini e donne dello Stato, al servizio di chi sta male». Sono i medici e gli infermieri in prima linea, sempre, ma dallo scoppio dell’emergenza ancora di più. «Stiamo tutti in trincea — conferma Massimiliano Dalsasso, anestesista in Azienda ospedaliera a Padova, centro di riferimento regionale —. Siamo pochi (gli anestesisti scarseggiano ovunque, ndr), corriamo dalle Terapie intensive alle Chirurgie, vestendoci e svestendoci continuamente per passare dai malati infetti ai degenti ordinari. Se ci fosse un boom di ricoveri, mascherine, camici, guanti e calzari scarseggerebbero. Ma il vero problema è lo stress emotivo: quando veniamo chiamati d’urgenza nei vari reparti non sappiamo mai se il paziente in insufficienza respiratoria che dobbiamo intubare sia colpito o meno da Coronavirus. Rischiamo anche noi».
Aumenta la tensione, non solo nei reparti più sotto pressione, cioè Malattie Infettive, Pronto Soccorso e Terapie intensive, ma nell’intero ospedale, chiamato in supporto. E questo accade in ogni hub del Veneto. «C’è uno stato di allarme generale, però il collo di bottiglia sono le Terapie intensive e la disponibilità di posti letto — spiega Dalsasso — più pazienti gravi arrivano e più aumenta il rischio di esaurirli. Non ci sono solo gli infetti, ma anche i post-operati, le vittime di incidenti o di infarto, per esempio. L’ospedale dispone di cinque Rianimazioni, però bisogna cercare di concentrare i contagiati da Coronavirus in una sola, anche
” L’anestesista E’ allarme generale Siamo pochi, corriamo dalle Terapie intensive alle Chirurgie
se in ognuna sono isolati in box singoli e protetti. Al carico di lavoro si unisce l’obbligo di tenersi continuamente informati sull’evoluzione del virus e delle terapie. Insomma non è facile — ammette l’anestesista — siamo consapevoli dei rischi che corriamo. Abbiamo paura anche noi, ma abbiamo scelto questo lavoro e lo svolgiamo con passione e dedizione. Giochiamo col fuoco tutti i giorni».
Forse c’è chi sta peggio. L’ospedale di Schiavonia è blindato da quel maledetto venerdì 21, quando è morto Adriano Trevisan, la prima vittima del «Covid-19». Nessuno può entrare e nessuno può uscire, polizia e carabinieri controllano, il Pronto Soccorso è chiuso, i corridoi deserti, i reparti già mezzi vuoti, visite e interventi sono sospesi. C’è un silenzio irreale per un ospedale. «E infatti siamo zombie — si sfoga un internista che deve restare anonimo perché un’ordinanza del direttore generale dell’Usl Euganea, Domenico Scibetta, impedisce al personale di parlare con i giornalisti, pena richiami disciplinari —. Sempre più isolati dal resto del mondo, ci trattano da appestati perfino i colleghi degli altri ospedali, non vogliono i nostri pazienti. Lavoriamo meno ma in condizioni che non auguro a nessuno, siamo stati costretti a tornare al passato, riutilizzando i vecchi ospedali di Montagnana e Conselve per le visite e la specialistica ambulatoriale». «Io c’ero quella notte — confessa un medico del Pronto Soccorso che è stato a contatto con Trevisan e l’altro anziano infetto ricoverato nelle stesse ore — surreale. Eravamo in pochi ma c’era molta confusione, paura. Siamo stati sottoposti tutti a tampone, operatori e familiari dei due pazienti. Noi medici siamo potuti uscire il giorno dopo,
” L’internista Siamo zombie, sempre più isolati dal mondo e i colleghi degli altri ospedali ci trattano da appestati
” L’infermiere Abbiamo dormito due notti sui divanetti delle sale d’attesa e mangiato e bevuto quello che c’era L’epidemia vista con gli occhi di chi sta in prima linea tutti i giorni, tra riposi saltati e senso del dovere
quando è arrivato l’esito del tampone, negativo, ma lo stress non è mai passato».
Gli infermieri hanno reagito facendo squadra. «Hanno continuato a lavorare, dormito due notti sui divanetti delle sale d’attesa e mangiato quello che c’era, in attesa dei rifornimenti, cioè the, biscotti e fette biscottate — racconta Carlo Cogo della Cisl —. E nel frattempo i colleghi in riposo sono rientrati per dare loro il cambio. Domenica pomeriggio erano in fila davanti all’ingresso dell’ospedale con i loro trolley, per sostituire gli infermieri in isolamento. Sono tutti stanchi ma orgogliosi: pensano alle loro famiglie e resistono, perché può capitare a tutti di aver bisogno di loro».
Disagi pure all’ospedale di Mirano, che ha accolto un 67enne di Mira ora grave in Rianimazione a Padova. «Sono giorni di superlavoro, hanno dovuto chiudere e sanificare Pronto Soccorso e Medicina e molti colleghi sono in isolamento a casa, quindi tutti gli altri devono lavorare ore in più — racconta Pierluigi Allibardi, cardiologo —. Lo stesso vale per gli infermieri: ne mancano 30, due turni, gli altri devono sobbarcarsi anche il loro lavoro. Facciamo tutti i salti mortali».