Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
TRE LEZIONI DAL VIRUS
Chi ora parla di pandemia mediatica (per dirla in latino un po’ maccheronico, «in media stat virus») dovrebbe chiedersi se non vi abbia contribuito, sia pure involontariamente, e riconoscere che il coronavirus ha colto un po’ tutti impreparati. E questo ha fatto sì che si siano commessi molti errori: dai ritardi con cui si sono prese certe decisioni alla precipitazione e improvvisazione con cui se ne sono prese altre. Non è utile andare alla ricerca di colpevoli.
Anche perché in assenza di conoscenze certe è inevitabile un apprendimento per prova ed errore. Cerchiamo piuttosto di capire quali lezioni possiamo trarre da questo convulso susseguirsi di mosse e contromosse. La prima è di rimediare al fatto che, da quanto appare a un osservatore esterno, nessuno nonostante i casi Aviaria, Sars, Suina e così via abbia simulato un piano di azione a fronte di un evento di questo tipo. Le aziende, le banche, i grandi enti fanno periodicamente gli stress test per valutare la capacità di risposta delle proprie strutture a eventi estremi e adeguare l’elasticità reattiva delle risorse, dei protocolli e degli operatori. La seconda è la valutazione dei rischi reputazionali del sistema-Paese. In questa ottica, una misura locale andrebbe valutata non solo per la sua presunta efficacia immediata ma anche per l’impatto di medio e lungo periodo sulla credibilità del sistema. La reputazione di un Paese o di un settore produttivo, che è il risultato di un lungo processo di accumulazione, può essere distrutta in poche ore come stanno drammaticamente sperimentando le categorie economiche in questi giorni. Decisioni prese sull’onda dell’emotività in una logica parziale rischiano di produrre effetti devastanti sull’insieme del sistema. Questo è un banco di prova per l’autonomia regionale. La gestione veneta o lombarda della sanità ha dimostrato le sue virtù e rimane un argomento chiave a favore dell’autonomia. Ma alla luce di questa esperienza si dovrebbero evitare le posizioni estreme: tutto il potere alla regione o tutto il potere al governo centrale. E’ molto improbabile che nell’epoca della globalizzazione una regione possa salvarsi da sola, anche nel caso non molto verosimile che avesse escogitato le soluzioni migliori per contenere la diffusione del contagio. Anzi bisognerebbe invocare il livello sovranazionale dato che in questa crisi l’Europa non si è molto sentita. La terza lezione è di tipo culturale e riguarda la capacità di distinguere tra rischio e incertezza come ha insegnato Franz Knight. Il rischio attiene alla probabilità che un certo evento si verifichi. Probabilità che viene calcolata attraverso l’osservazione di serie storiche di eventi basate su un tempo esteso quanto basta e su campioni sufficientemente numerosi. Il rischio di un incidente mortale che si corre salendo in aereo o in automobile può essere calcolato e ritenuto accettabile da chi usa questi mezzi e dalle compagnie di assicurazione che lo coprono. Anche se sullo sfondo resta sempre la possibilità che compaia il famoso cigno nero. L’incertezza attiene invece a eventi nuovi la cui probabilità è ignota. La gestione dell’incertezza dovrebbe seguire logiche completamente diverse dalla gestione del rischio. L’incertezza più che gestita va ridotta attraverso un aumento della conoscenza, la trasparenza e la messa a disposizione di tutti i dati e soprattutto attraverso il controllo dei soggetti che la generano. Tra questi ci sono le istituzioni pubbliche e le loro tecnocrazie che, secondo le analisi di Michel Crozier, alimentano il proprio potere risolvendo l’incertezza di cui sono la causa. L’insufficiente coordinamento e l’emulazione competitiva tra governo centrale e poteri regionali hanno accresciuto il grado di incertezza. Con il risultato che l’unica cosa certa è che italiano o veneto o lombardo sono diventati sinonimo di untori.