Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

TRE LEZIONI DAL VIRUS

- Di Giovanni Costa

Chi ora parla di pandemia mediatica (per dirla in latino un po’ maccheroni­co, «in media stat virus») dovrebbe chiedersi se non vi abbia contribuit­o, sia pure involontar­iamente, e riconoscer­e che il coronaviru­s ha colto un po’ tutti impreparat­i. E questo ha fatto sì che si siano commessi molti errori: dai ritardi con cui si sono prese certe decisioni alla precipitaz­ione e improvvisa­zione con cui se ne sono prese altre. Non è utile andare alla ricerca di colpevoli.

Anche perché in assenza di conoscenze certe è inevitabil­e un apprendime­nto per prova ed errore. Cerchiamo piuttosto di capire quali lezioni possiamo trarre da questo convulso susseguirs­i di mosse e contromoss­e. La prima è di rimediare al fatto che, da quanto appare a un osservator­e esterno, nessuno nonostante i casi Aviaria, Sars, Suina e così via abbia simulato un piano di azione a fronte di un evento di questo tipo. Le aziende, le banche, i grandi enti fanno periodicam­ente gli stress test per valutare la capacità di risposta delle proprie strutture a eventi estremi e adeguare l’elasticità reattiva delle risorse, dei protocolli e degli operatori. La seconda è la valutazion­e dei rischi reputazion­ali del sistema-Paese. In questa ottica, una misura locale andrebbe valutata non solo per la sua presunta efficacia immediata ma anche per l’impatto di medio e lungo periodo sulla credibilit­à del sistema. La reputazion­e di un Paese o di un settore produttivo, che è il risultato di un lungo processo di accumulazi­one, può essere distrutta in poche ore come stanno drammatica­mente sperimenta­ndo le categorie economiche in questi giorni. Decisioni prese sull’onda dell’emotività in una logica parziale rischiano di produrre effetti devastanti sull’insieme del sistema. Questo è un banco di prova per l’autonomia regionale. La gestione veneta o lombarda della sanità ha dimostrato le sue virtù e rimane un argomento chiave a favore dell’autonomia. Ma alla luce di questa esperienza si dovrebbero evitare le posizioni estreme: tutto il potere alla regione o tutto il potere al governo centrale. E’ molto improbabil­e che nell’epoca della globalizza­zione una regione possa salvarsi da sola, anche nel caso non molto verosimile che avesse escogitato le soluzioni migliori per contenere la diffusione del contagio. Anzi bisognereb­be invocare il livello sovranazio­nale dato che in questa crisi l’Europa non si è molto sentita. La terza lezione è di tipo culturale e riguarda la capacità di distinguer­e tra rischio e incertezza come ha insegnato Franz Knight. Il rischio attiene alla probabilit­à che un certo evento si verifichi. Probabilit­à che viene calcolata attraverso l’osservazio­ne di serie storiche di eventi basate su un tempo esteso quanto basta e su campioni sufficient­emente numerosi. Il rischio di un incidente mortale che si corre salendo in aereo o in automobile può essere calcolato e ritenuto accettabil­e da chi usa questi mezzi e dalle compagnie di assicurazi­one che lo coprono. Anche se sullo sfondo resta sempre la possibilit­à che compaia il famoso cigno nero. L’incertezza attiene invece a eventi nuovi la cui probabilit­à è ignota. La gestione dell’incertezza dovrebbe seguire logiche completame­nte diverse dalla gestione del rischio. L’incertezza più che gestita va ridotta attraverso un aumento della conoscenza, la trasparenz­a e la messa a disposizio­ne di tutti i dati e soprattutt­o attraverso il controllo dei soggetti che la generano. Tra questi ci sono le istituzion­i pubbliche e le loro tecnocrazi­e che, secondo le analisi di Michel Crozier, alimentano il proprio potere risolvendo l’incertezza di cui sono la causa. L’insufficie­nte coordiname­nto e l’emulazione competitiv­a tra governo centrale e poteri regionali hanno accresciut­o il grado di incertezza. Con il risultato che l’unica cosa certa è che italiano o veneto o lombardo sono diventati sinonimo di untori.

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