Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Riunioni, pausa caffè: lavorare oggi in ufficio
Alla Texa mascherine distribuite all’ingresso, smart working e si pranza a distanza di sicurezza. «Il rischio è che il contagio possa favorire il cyber-spionaggio»
Alla Texa mascherine, smart working e si pranza a distanza di sicurezza. «Il rischio è che il contagio possa favorire il cyber-spionaggio».
MONASTIER (TREVISO) «Questa è la mascherina e questi sono i guanti...». La guardia consegna il kit e avverte: «Se non indossa le protezioni, qui non può entrare».
Monastier, provincia di Treviso. Stiamo per accedere al quartier generale di Texa Spa, l’azienda fondata nel 1992 da Bruno Vianello e diventata leader mondiale nel settore della diagnostica per veicoli.
Per capire come sta cambiando il lavoro al tempo del coronavirus basta farsi un giro tra questi trentamila metri quadrati di uffici, laboratori e stabilimenti produttivi. Qui, come in altre aziende venete, si sperimentano le misure più efficaci per tenere alla larga l’infezione senza incidere troppo sugli stili di vita dei lavoratori né alimentare un clima da caccia all’untore.
Si comincia proprio dall’ingresso: gli ospiti esterni - che siano clienti o addetti alla consegna del materiale - sono tenuti a indossare le protezioni per non correre il rischio di contagiare i dipendenti. Una volta superate le guardie ai cancelli, l’accoglienza è affidata a una receptionist, pure lei con la mascherina calata sul volto. È gentile, prodiga di indicazioni. Ma nei saluti è categorica: «Non posso stringere la mano ai visitatori». Lo dice l’Oms: la diffusione del virus si previene anche così.
«Fin da quando si sono registrati i primi casi, ormai due settimane fa, abbiamo sospeso tutte le trasferte in Italia e all’estero», racconta Sara Regazzo, giovane manager (qui l’età media dei dipendenti è di 33 anni) responsabile per la salute e la sicurezza dei cinquecento lavoratori Texa. In mattinata ha visto il suo termometro segnare 36,8 gradi. «Abbiamo chiesto a tutti di misurare quotidianamente la temperatura corporea prima di presentarsi in ufficio. Se invece la febbre dovesse salire nel corso della giornata, si viene accompagnati in una stanza adibita a infermeria per poi essere riaccompagnati a casa».
Altra contromisura: in tutta l’area sono spuntati come funghi i distributori di igienizzante e i disinfettanti spray per le scrivanie. Anche qui vale la «regola dello starnuto»: si raccomanda di tenere almeno un metro di distanza dai colleghi ed evitare ambienti affollati. «Per fortuna gli uffici sono molto spaziosi. Ma è comunque stato necessario cancellare alcune riunioni, trasferirne altre in sale più grandi oppure svolgerle in video-conferenza. I colloqui di lavoro? Solo via Skype» spiega Carlo Zabotto. Lui, all’alba, aveva una temperatura di 36,4 gradi. Il suo compito è di assicurare il top della qualità nei processi gestionali. Sempre. Anche in situazioni di emergenza, come questa. «Dobbiamo adattare i nostri modelli produttivi a un contesto inedito e imprevedibile. Per ora ci stiamo riuscendo: la “macchina” non ha subito rallentamenti».
Texa ha una sede moderna, una sorta di campus, i giardini, le fontane e i servizi per i dipendenti. All’interno è stato perfino ricostruito un tipico borgo veneto, con la piazzetta e il bar. Da qualche giorno, anche qui sono vietate le consumazioni al bancone: si deve restare seduti - meglio se da soli - ai tavolini.
Ma la vita in azienda non è cambiata solo quando si sta tappati in ufficio o durante la pausa-caffé. Fino a una settimana fa, i dipendenti pranzavano tutti insieme nel grande ristorante al pianterreno. «Ora, per ridurre l’affluenza, abbiamo raddoppiato i turni», spiega Zabotto. Basta dare un’occhiata alla sala: tra un lavoratore e l’altro, c’è sempre almeno una sedia vuota. Solo così, anche di fronte a un piatto di pasta al ragù, si mantiene la distanza di sicurezza. Altra cautela, introdotta da un paio di giorni, è l’utilizzo di posate usa-e-getta.
Il presidente Vianello, la mette in questi termini: «Dalle disgrazie occorre saper trarre dei buoni insegnamenti. Noi imprenditori usciremo dall’emergenza più forti di prima, imparando nuove strategie anche sotto il profilo dell’organizzazione del lavoro. Per limitare i danni, però, il governo deve garantire sostegno alle aziende».
Finora, le precauzioni assunte da Texa sono finalizzate a tenere il contagio fuori dai confini dello stabilimento. «Ma se un giorno il virus dovesse entrare - avverte - scatterà il Piano B». I manager lo stanno affinando fin dal primo giorno e ruota intorno all’ipotesi che si debbano svuotare gli uffici lasciando che buona parte dei dipendenti lavori da casa. Alcuni inizieranno proprio oggi con lo smart working. Naturalmente non basta dotarsi di computer portatili. È tutto molto complicato: il rischio principale è che il coronavirus spiani la strada al cyber-spionaggio. «Molti progetti ai quali lavoriamo sono preziosi e riservati. Normalmente non dovrebbero mai uscire da queste mura». Si tratta quindi di «blindare» i messaggi, criptando ogni singolo dato che in futuro sarà scambiato tra la sede e i tecnici collegati dall’esterno. «Perché il contagio potrà aver cambiato il nostro modo di lavorare - conclude il fondatore di Texa - ma non possiamo lasciargli compromettere la qualità di ciò che offriamo».