Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Il Polesine segreto nel romanzo di Permunian
Una società apparentemente normale e un misterioso omicidio
Sarà anche tutta pianura piatta, giù giù fino al Polesine, ma quanti tunnel nella psiche umana. Li scava Francesco Permunian in Nel paese delle ceneri, romanzo appena ripubblicato (per l’editore Theoria, dopo 17 anni immutato e freschissimo) ma che si porta dietro una vita. Una vita appunto nata in quella bassa dove si comincia a respirare il Delta del Po, ma fuggita fino a rinnegare le radici: «Tutta la gente di allora, tutte le donne e gli uomini della mia giovinezza, riposano adesso al cimitero. Il paese stesso assomiglia ormai a un cimitero, sì, il cimitero dei miei anni più belli. E come si sa, è impossibile dialogare con un cimitero; assolutamente impossibile comunicare con i morti». E i vivi, per soprammercato, assomigliano più a zombie che a esseri umani, ognuno con la sua perversione, antica o attuale: l’intreccio di questi fili contorti diventa il plot del racconto, facendo emergere una storia segreta e terribile, uno zampillo di fango e sangue un assassinio – da una società apparentemente normale.
L’indagine sui protagonisti di questa società offre a Permunian l’occasione per essere spudoratamente sincero: ecco il parlamentare del partito di stra-maggioranza, potente ignorante crapulone; ecco il galoppino che costruisce le proprie fortune comportandosi come il gatto con gli stivali; ecco il mellifluo politico rampante che scalza tutti a colpi di ipocrisia. Ma in quel paesaggio dove tutto sembra umidità e immobilità, si muovono soldi, potere, influenze, posizioni sociali e con loro amori e odii, servaggio e contrasti, e imperscrutabili dinamiche umane.
Gli identikit sono spietati: il bottegaio esplode/implode nella smisurata grettezza di ritenere la Boutique (negozio di alimentari) sopra ogni cosa: dell’amore, della sposa, dei figli, perfino dell’interesse, la Boutique è il suo ego quindi la sua dignità. E per la dignità si può arrivare ad un progetto mefistofelico, paziente quanto agghiacciante. Nel paese che ora è solo cenere, un tempo correvano correnti di lava sotterranea, come pure strati di bronse coerte. Da questo mondo – scacciato da un evento sconvolgente, la morte violenta del nipote – è scappato il protagonista del romanzo, un avvocato. Che però guarda il suo paese da lontano, magari dall’alto di una torre a chilometri di distanza, con il binocolo, e non vorrebbe recidere quel legame, se ne fa portare i cibi: ma non ne sopporta più i viventi. O in apparenza tali, perché abitano il cimitero della memoria. Il paese natìo provoca una psicosi, addirittura: gli pare che produca una ruggine che lo avviluppa, meglio ancora una cenere che ammorba, l’esatto contrario di qualsiasi linfa vitale.
Questo «mondo di cenere e follia generato dal Polesine» è l’humus in cui deve maturare una vendetta, quasi casuale ma necessaria, psichicamente necessaria per calpestare fisicamente quelle ceneri. E così Permunian ci conduce, con spot di luce vivida e prosa nettissima, dentro a questi tunnel mentali, variegati di ossessioni, fantasie macabre, deliri e miserie umane. L’umanità ne esce a pezzi, sembra non esserci redenzione: perfino le religiose (salvo una, di vecchia scuola) contribuiscono alla pazzia collettiva, meritandosi pagine di anticlericalismo irridente, peraltro gustose.
Nelle turpidini di questa storiaccia, scorre anche seminascosta l’ironia, che però è tagliente, acida: non fa sorridere, ma sogghignare, ed è appunto il ghigno la traccia che il romanzo lascia nel lettore. Ma amaro, senza soddisfazione, di fronte alla dis-umanità degli uomini, al loro essere demoniaci sotto mentite spoglie, chi più chi meno, e destinati comunque a produrre sia da vivi che da morti quella cenere che tutto impregna. Un libro pessimista? Anche sì, perché il viaggio dell’autore non è alla superficie della vita, le cose belle, il viver gentile, le feste, l’entusiasmo, ma corre appena sotto e dentro, nei labirinti del cervello. Questo sono gli uomini. Infatti «solamente i cani non mi hanno mai deluso».