Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Massimo Bubola «I cantautori? Poeti come Omero»
L’intervista Il musicista veronese autore del «Cielo d’Irlanda» e «Andrea»
Da 45 anni Massimo Bubola disegna in Italia la strada della canzone d’autore. Impossibile scegliere solo alcuni titoli tra le oltre 300 canzoni che ha scritto, capolavori come Niente passa invano, Il cielo d’Irlanda, Quello che non ho e Fiume Sand Creek. Abbiamo intervistato il cantautore veronese nel giorno del suo 66esimo compleanno.
Si è sempre definito un «cantautore anomalo» ci spiega il perché?
«Ho sempre cercato oltre che delle storie significative da raccontare anche di sviluppare una musicalità particolare miscelando la musica popolare della mia cultura veneta con la letteratura del Rock, che è stata senz’altro una delle letterature più rilevanti del secondo Novecento. Credo che ogni scelta artistica non possa prescindere da una scelta stilistica personale e originale, che mischi musicalità e poetiche nate in tempi e contesti diversi, che sono frutto di percorsi, di scoperte, di scelte, di ascolti e letture fatte nell’adolescenza e nella giovinezza, quando ci si muove come esploratori nel paradiso terrestre».
Con le sue canzoni che cosa ha sempre cercato?
«Ho sempre cercato di unire la bellezza della musica con quella della poesia. Perché la bellezza racchiude anche il significato. E ho cercato anche di scrivere canzoni cantabili, memorizzabili e riproducibili, che durassero nel tempo, come le cose che ami: la tua chitarra, una vecchia giacca comoda, un paio di scarponi da montagna, la tua finestra sul bosco».
È vero che da ragazzo ha fatto a pugni solo per amore e per Bob Dylan?
«Non proprio a pugni, ma ho avuto discussioni accese su Bob Dylan, perché nel nostro Paese è stato spesso frainteso e poco considerato, soprattutto musicalmente. In realtà la sua estesa opera ha avuto una forte influenza sulla poesia del mondo degli ultimi sessant’anni e sul linguaggio e l’immaginario di moltissime persone e di molti scrittori e poeti, non solo da canzone. Quando Dylan ha vinto il Nobel per la Letteratura nel 2016, molti nostri letterati si sono sollevati e hanno protestato per questo riconoscimento, come il poeta Magrelli e lo scrittore Baricco, dimostrando molta superficialità di giudizio e una scarsa conoscenza della letteratura musicale, che parte da Omero e passa per Poliziano, Metastasio e il nostro Lorenzo da Ponte».
Quest’anno si festeggiano i 30 anni di una sua canzone «mitica» come «Don Raffaé». L’Italia di quella canzone è cambiata molto?
«La canzone, scritta nel 1988 e pubblicata nel 1990, voleva essere surreale e paradossale, perché immaginare Pasquale Cafiero, un’anziana guardia carceraria che adula e chiede favori a un boss della camorra come Don Raffaè, sembrava un fatto alquanto
farsesco e inverosimile. Pochi anni dopo la pubblicazione di questa canzone, i fatti dimostrarono invece che la realtà spesso supera la fantasia».
Recentemente è stato proiettato al cinema «Fabrizio De André e PFM – Il concerto ritrovato». Mi ha molto stupito che non l’abbiano intervistata, è rimasto sorpreso anche lei?
«Avendo ideato e scritto un terzo di quelle canzoni, magari sarebbe stato interessante avere anche un approfondimento su quelle canzoni da parte mia, visto che sarei stato in grado di inquadrare il contesto in cui quei brani erano stati composti. Invece è stato data come sempre molta rilevanza all’agiografia, all’apologia e all’aneddotica più o meno prevista e prevedibile che sono una delle costanti delle biografie all’italiana».
Per chi scrive folk rock quanto è importante guardare alle proprie radici?
«Un albero che non ha radici, non ha neanche fronde, fiori e frutti. Credo che se non conosciamo il nostro percorso, quello della nostra gente e della nostra terra e della nostra famiglia, sia molto difficile configurare qualcosa di credibile e comprendere quello che accade. Questi giorni e questi sbandamenti ne sono la testimonianza».
«Ballate senza nome» (Frassinelli, 2017) è stato un successo editoriale. Sta lavorando ad un nuovo romanzo?
«Sto lavorando ad un romanzo che è un percorso epico-esistenziale tra musica e letteratura».
In sala
Il film su De André contiene molta agiografia, aneddotica più o meno prevedibile