Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Giovanni Allevi «Sul palco la mia Speranza»

Il pianista il 25 maggio sul palco del Teatro Comunale di Treviso con il nuovo cd «Sento l’esigenza di tornare alla dimensione intima e folle del concerto da solo»

- Verni

Un piano a coda e uno sgabello. Il 25 maggio al teatro Mario Del Monaco di Treviso, basterà questo a Giovanni Allevi, compositor­e e direttore d’orchestra in jeans e t-shirt, per portare i fan nel suo originale mondo musicale il cui ultimo tassello è il disco «Hope» (ore 20.45, info www.venetojazz.com).

«Hope» è un disco di speranza? Come e quando nasce?

«Mai come ora abbiamo tutti bisogno di speranza. “Hope” è un album sinfonico che ha avuto una lunga gestazione, ed ha come nucleo centrale la mia produzione per coro e orchestra. Nasce dall’esigenza di rivolgere lo sguardo verso l’alto, e magari afferrare in musica un lembo di paradiso».

Da «Hope« sono stati realizzati anche due remix EDM, ama questo genere di musica?

«Abbiamo fatto un lavoro maniacale per avvicinare la polifonia vocale del coro alla ritmica fresca ed attuale dell’EDM. Il risultato è stato entusiasma­nte».

Come ha costruito la scaletta del concerto di piano solo a Treviso?

«Dopo il tour di “Hope”, con coro, solisti e orchestra, ho sentito l’esigenza di tornare alla dimensione intima e folle del pianoforte solo. Porterò a Treviso la stessa scaletta del concerto di debutto al Konzerthau­s di Vienna, con cui ho da poco aperto il tour europeo».

Per lei il pianoforte che cosa rappresent­a?

«Dopo 29 anni di attività concertist­ica, quando vedo quel vascello nero ad attendermi sul palco, provo ancora sgomento. Non è soltanto per la paura di suonare o per il mio perfezioni­smo maniacale: è per quel salto spaventoso e sublime attraverso cui il pianoforte mi scaraventa verso il cuore della gente».

Dirigere un’orchestra le piace allo stesso modo che suonare in piano solo o ha

una precisa preferenza?

«Dipende dalla bravura dei professori! Mentre col pianoforte sono totalmente responsabi­le del risultato. Si tratta comunque di due esperienze meraviglio­se».

Quando compone musica il suo pensiero a chi va?

«Va alla musica stessa, alle sue dinamiche interne, alle strade che essa stessa intraprend­e. Tutti gli altri aspetti sfuggono al mio controllo».

Si ritiene un rivoluzion­ario nella musica?

«A giudicare dalle critiche feroci, dall’ostruzioni­smo e dalle spaccature provocate, credo di aver aperto una nuova strada».

Qual è la cosa di cui va più fiero?

«Vado fiero del pubblico che mi segue. Raccoglie persone speciali, sensibili, poetiche, squilibrat­e e scombinate. Ogni concerto una seduta di ipnosi collettiva».

Qual è il compliment­o più bello che le hanno fatto e chi glielo ha fatto?

«Le persone che mi seguono dall’inizio mi hanno recentemen­te esternato il loro entusiasmo per il fatto che nella mia musica è presente una ricerca continua, verso orizzonti nuovi ed inesplorat­i».

Quali sono i tre album che ha ascoltato di più nella sua vita?

«A 6 anni ascoltavo tutti i giorni, per intero, un vinile della Turandot di Puccini. Durante il militare ho consumato la cassetta dello Zecchino d’Oro 1991. Poi è stata la volta del “Concerto n. 5” di Prokofiev per pianoforte e orchestra, eseguito da Richter. Immenso».

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Giovanni Allevi, il suo ultimo disco si chiama «Hope»
Eclettico Giovanni Allevi, il suo ultimo disco si chiama «Hope»

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