Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Treviso o cara» Rapsodia di una città
L’ultimo lavoro di Bernardi: alla ricerca del «genius loci»
«Iluoghi hanno un’anima. Il nostro compito è di scoprirla. Esattamente come accade per la persona umana». Così scriveva lo psicologo americano di scuola junghiana James Hillman. E così fa Ulderico Bernardi, sociologo trevigiano da sempre affascinato dall’intrigante comprensione del genius loci. Cioè dell’identità profonda di un luogo; in questo caso, ovviamente, si tratta di Treviso, a cui Bernardi, con evidente affetto, dedica il suo ultimo lavoro: Treviso o cara ... (De Bastiani editore, pp. 260, 15 euro).
Bernardi svela il genius loci trevigiano usando una specie di quadrilatero concettuale che giustifica anche l’organizzazione dei quattro capitoli che compongono il lavoro. Il primo lato del quadrilatero, per restare nella metafora, parla di acque, di città murata e di porte. In primis quindi il Sile, il più lungo fiume di risorgiva, che arriva a bagnare la città dopo aver corso ventun chilometri dalle sue sorgenti. Ma il fiume significa anche pesca, commerci, agricoltura, lavoro, cultura materiale ed immateriale. Un fiume che impavido fora le mura – capolavoro dell’arte difensiva cinquecentesca – rispettandone però le capacità protettive. Mura che invece ai passanti si apre con porte monumentali che parlano della antica disposizione trevigiana all’accoglienza: Dominus custodiat introitum et exitum tuum, recita infatti il marmo della porta san Tommaso, quella apre verso il nord della Marca.
Il secondo aspetto indagato da Bernardi parla della «Treviso fedele». Perché Treviso è Venezia, la Dominante, inestricabilmente, come ricordano i tanti leoni marciani sparsi qua e là. Sotto uno dei quali, con le ali aperte, vi è la dedica che la Serenissima fece alla città di Treviso: «Conserva la città a te dedicata». Una massima dal valore inestinguibile, validissima oggi più che mai, che ci ricorda – o dovrebbe ricordarci – quanto la città sia un bene collettivo fragile, da maneggiare con cura, e da non dimenticare. Perché, come ammoniva il Tommaseo, «La dimenticanza perde i popoli e le nazioni, perché le nazioni altro non sono che memoria». E così anche le città, ovviamente.
E poi c’è la tavola, con le sue eccellenze gastronomiche ed enologiche: basterebbe solo citare il prosecco, il radicchio (che nel 1931 il Touring nella sua Guida farà finalmente conoscere) ed il tiramesù. E dal radicchio rosso di Treviso – «un fiore commestibile», come venne poeticamente definito – gemmeranno il radicchio di Castelfranco, quello di Chioggia, di Verona e forse anche la rosa di Gorizia. Ma senza mai dimenticare che la cucina trascina convivialità e memoria: nel cibo si fa relazione, legame, ricordo.
Ed infine il mutamento, con cui bisogna fare i conti: perché ineludibile, ma senza accompagnarlo a pessimismi apocalittici sintetizzati dal «si stava meglio quando si stava peggio». Una contemporaneità che porta sfide inedite ed incertezze globali: per Bernardi occorre, per affrontarle, conservare e riscoprire i valori delle società democratiche e solidali. Ricordandosi che ormai Treviso è pienamente città d’Europa e città del mondo.
” Il mutamento è ineludibile, ma evitiamo pessimismi apocalittici