Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Dalla febbre al coma, il poliziotto guarito: «Una dura battaglia»
Luigi, in servizio nel carcere: «Ringrazio tutti i medici»
VICENZA La febbre che a fine febbraio, quando ancora non era scoppiata l’emergenza sanitaria, sembrava una semplice influenza, l’isolamento volontario, le crisi respiratorie, e quindi il ricorso all’ospedale, il tampone risultato positivo e il coma farmacologico. «L’esperienza più dura della mia vita» racconta oggi, guarito dal coronavirus, Luigi Nasta, l’agente di polizia penitenziaria di 29 anni in servizio nel carcere di Vicenza, il primo colpito dal Covid-19 e finito a inizio mese in terapia intensiva al San Bortolo, poi nel reparto malattie infettive e quindi all’ospedale di Noventa Vicentina, da dove è stato dimesso di recente.
Ora è in caserma, dove trascorrerà la convalescenza e dove sente di «essere tornato “in famiglia”», attorniato dall’affetto dei colleghi che ringrazia assieme ai medici.
Un’esperienza che l’agente originario della provincia di Caserta ha raccontato a Gnews online, quotidiano del ministero della Giustizia. «Ho trovato la forza di affrontarla pensando a tutto quello per cui dovevo lottare, alle persone che amo, al lavoro che ho scelto, ai colleghi sempre vicini nel sostenermi - le sue parole -. Devo poi moltissimo non solo alla competenza ma anche alla sensibilità del personale sanitario che mi ha curato». In particolare un medico - «che ringrazierò a vita», esclama.
«Prima di addormentarmi, in terapia intensiva, gli avevo chiesto di aggiornare i miei familiari sulle mie condizioni i giorni successivi. Vivono a settecento chilometri di distanza e non avrei potuto farlo». E quel medico, mentre lui era in coma farmacologico, ha trovato il tempo di chiamare e rassicurare ogni giorno i parenti nel sud Italia.
«Lontano dalla famiglia, non mi sono mai sentito solo grazie ai miei colleghi - ha riferito a Gnews -. Mentre ero intubato, pensavo a loro, a quello che stava succedendo ‘fuori’ e soprattutto mi chiedevo se avessi contagiato qualcuno. È stata la prima domanda che ho fatto al comandante Giuseppe Testa». Colui che lo aveva convinto, dopo sette giorni di febbre, ad andare in Pronto Soccorso. Il 29enne non ha contagiato nessuno visto che, quando è comparsa l’influenza, si è auto-isolato contattando la guardia medica.
«Una volta uscito dalla terapia intensiva, mi hanno detto che non sarebbe potuto venire un fisioterapista per rimettermi in piedi dopo tanti giorni di immobilità - le parole dell’agente -. Così ho iniziato a muovermi da solo, a fare i primi passi di nascosto dei medici che si sono meravigliati che già fossi in grado di stare in piedi e camminare». Ora se avrà bisogno di controlli, potrà effettuarli nel tendone pre-triage allestito nel piazzale del carcere.
«Quando sono tornato in caserma - racconta - i miei colleghi avrebbero voluto abbracciarmi, ma non è possibile. Il loro calore mi è arrivato lo stesso. Ci sarà tempo per gli abbracci veri».