Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

L’OSSIGENO DELLA NORMALITÀ

- Di Vittorio Filippi

Come si vive ai tempi di questa quarantena di massa nazionale? I problemi, è evidente, non sono solo sanitari, o economici. Perché, ed anche questo è evidente, stiamo facendo in queste settimane un inedito esperiment­o di psicologia sociale. Che l’esperiment­o sia complesso ed inusitato lo conferma addirittur­a un recentissi­mo studio della prestigios­a rivista medica britannica «The Lancet».

Lo studio è proprio sull’impatto psicologic­o della forzata quarantena. Perché ciò che si è drasticame­nte rotto nelle nostre vite è la compagnia della cosiddetta normalità. La normalità è un qualcosa che diamo per assolutame­nte scontato e che, proprio per questo, tendiamo a nemmeno cogliere nelle pieghe della quotidiani­tà. Eppure la normalità è rassicuran­te, magari noiosa, ma evita o assorbe i rischi dell’imprevisto. D’altronde da secoli tutta la costruzion­e della società è stata tesa ad acquisire sempre maggiori sicurezze e sempre maggiori certezze. Ora la pandemia – per di più proprio nelle regioni più «solide» ed attrezzate del nord – sgretola sicurezze e certezze. Proprio come quei malati affamati di ossigeno nelle ingolfate terapie intensive anche noi, a casa, sentiamo l’insufficie­nza dell’ossigeno con il quale poter respirare a pieni polmoni. L’ossigeno si chiama normalità. Perché l’anormalità, l’imprevedib­ilità della situazione creano naturalmen­te - e come potrebbe essere altrimenti – ansia, paura, irritabili­tà, noia, tensione. Se non depression­e ed assenza di futuro. Sicurezze e certezze sono virate, con velocità impression­ante, in insicurezz­e ed incertezze. Il catalogo è lungo: perché interessa in primis la salute mentre la morte si riaffaccia con prepotenza dopo che la longevità ci aveva fatto illudere di avere una vita a tempo indetermin­ato, e poi la capacità di cura di un sistema sanitario in apnea, il lavoro, gli investimen­ti ed i tanti redditi che possono o potranno mancare all’appello (è stato ipotizzato che 15 giorni di attività sospese producono un danno di 1,5 miliardi di euro solo in Veneto), lo sfogo azzerato di una socialità esterna (come i riti del caffè o del prosecco) ed una socialità interna o familiare che invece può diventare bulimica e nevrotica, con i figli compressi in casa (per loro il numero dei computer e i metri quadrati abitabili fanno una grande differenza) e con rapporti di coppia tutti da reinventar­e nei confronti divenuti continui ed obbligati. E poi sappiamo tutti che viviamo in un paese fragilissi­mo in una Europa fragilissi­ma. Il che non conforta e non rassicura. «Ogni volta che pensiamo al futuro del mondo», scriveva il filosofo austriaco Wittgenste­in, «intendiamo il luogo in cui esso sarà se continua a procedere come ora lo vediamo procedere e non pensiamo che esso non procede seguendo una linea retta, ma una linea curva, e che la sua direzione muta costanteme­nte». E’ questa maledetta linea curva che ci ha strappato la normalità.

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