Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Dati Istat e Covid-19 In alcuni Comuni decessi raddoppiati
L’analisi in 122 municipi sui 563 del Veneto mostra un andamento altalenante della mortalità. Finora i più colpiti sono gli over 74 con patologie pregresse
+16 I decessi registrati nel Comune di
Padova a marzo 2020 rispetto a marzo 2019 +33
I decessi registrati nel Comune di
Treviso a marzo 2020 rispetto a marzo 2019
I dati Istat che mettono
VENEZIA a confronto uno dopo l’altro i decessi dei primi 21 giorni di marzo 2020 con quelli dello stesso periodo del 2019 fanno riflettere: a Maserà, nel Padovano, la mortalità è cresciuta del 500% (da 1 a 6 decessi), a Vigonovo, nel Veneziano, è aumentata del 400% (da 1 a 5) mentre a Castello di Godego, nel Trevigiano, e a Torri di Quartesolo, nel Vicentino, è salita del 300% (rispettivamente da 1 a 4 e da 2 a 8).
Ma si tratta veramente di un aumento esponenziale a causa delle vittime del contagio da coronavirus? Difficile dirlo con una statistica fatta su un campione di 122 Comuni su un totale veneto di 563, senza considerare i capoluoghi e senza considerare i municipi più grandi dove convivono diverse fasce d’età della popolazione veneta. Nella stessa colonna infatti fanno capolino i Comuni di Battaglia Terme (Pd), Noventa di Piave (Ve), Farra di Soligo (Tv) e Valdastico (Vi) che nel periodo di picco dei contagi segnano una mortalità cresciuta dello 0% (zero per cento) o addirittura leggermente diminuita rispetto al 2019. Non solo. Se si prendono in mano i numeri delle anagrafi di due capoluoghi, Padova e Treviso, decisamente diversi per popolazione e dimensione, ma ugualmente abitati da tutte le fasce di età, la crescita della mortalità non è altrettanto eclatante: nel mese di marzo del 2019 a Padova i decessi registrati tra i residenti sono stati 216 contro i 232 dello stesso periodo del 2020. A Treviso invece l’aumento è stato un po’ più consistente ma anche qui si passa dagli 80 certificati di morte del marzo 2019 ai 113 del 2020. Bisogna inoltre tenere conto di un altro dato. Lo stesso Istat segnala che nei mesi di gennaio e febbraio 2020, un po’ grazie alle temperature miti e un po’ grazie alla massiccia campagna vaccinale degli ultimi periodi, la mortalità tra gli anziani è diminuita rispetto agli anni precedenti e quindi in qualche modo è stata posticipata con l’arrivo del picco dell’epidemia da Covid-19 nel marzo appena concluso. A causa (anche) della diminuzione degli incidenti stradali, del calo delle tragedie sul lavoro e delle insidie che la quotidianità riserva a tutti i veneti senza le restrizioni imposte dal governo per contenere il contagio, i numeri non sono del tutto omogenei. La prova è che nell’ ultimo trimestre negli ospedali trevigiani (Treviso, Conegliano, Vittorio Veneto, Castelfranco,
Oderzo e Montebelluna) la mortalità è rimasta sostanzialmente in linea con quella degli anni precedenti
(995 decessi nel 2017, 908 nel
2019, 933 nel 2020). Al di là della mortalità ospedaliera, i dati diffusi dall’Istat - che limitatamente ai 122 Comuni presi in esame vede un vero e proprio raddoppio dei decessi registrati nelle tre settimane di confronto: 951 nel 2020 contro i 538 del 2019 - la magl’anno gior parte delle morti avvenute in Veneto riguarda la fetta di popolazione over 74. In molti casi si è trattato di uomini e donne che presentavano almeno una patologia cardiaca, respiratoria o oncologica preesistente (che non significa necessariamente terminale) su cui il Covid avrebbe fatto più facilmente presa con esito tragico. Non è un caso dunque se i virologi più prudenti invitano ad aspettare la fine delprima di trarre conclusioni sulla reale portata della pandemia. Fotografare un quinto dei Comuni veneti per sole tre settimane rischia di dare adito sia ai millenaristi del Covid che leggeranno negli inequivocabili (ma parziali) aumenti di marzo una strage annunciata, sia ai negazionisti più sfegatati (quelli che ieri rilanciavano su Facebook le statistiche superottimistiche dell’Instat con una «n» di troppo) che prenderanno in esame solo i municipi non interessati dall’aumento dei decessi. Certo è che al momento, la situazione del Veneto non è paragonabile a quella della Lombardia. Non soltanto per le percentuali di mortalità da Covid registrati dalle rispettive strutture sanitarie (7.960 in Lombardia e 532 in Veneto) ma anche perché apparentemente il virus avrebbe colpito in aree urbane con densità abitative molto diverse (città in Lombardia, piccoli paesi in Veneto).
A giocare un fattore importante anche i tempi di diffusione del virus nei due territori. A giudicare dall’esplosione dei contagi registrati a fine febbraio, il Veneto è stato colpito dal flagello con una settimana di ritardo, tempo prezioso per organizzare le prime «zone rosse» per contenere i contagi e riadattare le strutture sanitarie alla nuova emergenza. È anche per questo che la sanità veneta, aiutata dalle misure di contenimento e isolamento, ha retto l’impatto dell’epidemia evitando il sovraccarico delle terapie intensive e permettendo così al personale sanitario di fare un lavoro straordinario che sarà ricordato negli anni.