Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Professionali, cinesi, fai da te corsa alle mascherine
Venticinque milioni di mascherine comprate «Ora le produciamo noi»
VENEZIA Più dei guanti in lattice da indossare per uscire di casa, più della paziente fila al supermercato, più delle videochiamate dolce-amare. Esiste già un simbolo dei «mesi del coronavirus»: la mascherina. Tanto più che ci accompagnerà ancora a lungo in una nuova normalità. La mascherina bloccata dalle dogane di paesi lontani, a volte sequestrata all’arrivo con buona pace dei corrieri internazionali, introvabile per settimane sia in farmacia che sul web, finalmente è tornata. Ma si porta con sé uno strascico di polemiche e storie avventurose.
Partiamo da quelle acquistate dall’inizio dell’emergenza dalla Regione, di tasca propria: 13 milioni e mezzo di chirurgiche (adatte per il supermercato, non per la terapia intensiva), 7 milioni 660 mila FFP2 (per medici di base, soccorritori, forze dell’ordine) più 3 milioni e 799 mila FFP3, top di gamma, per così dire, destinate a chi lavora in primissima linea: nelle terapie intensive. Ci sono stati gli invii cadenzati da Roma tramite la protezione civile, invii non sufficienti. Del resto l’«approvvigionamento» è stato un problema per tutti. Tradotto, i paesi produttori spesso ne hanno bloccato l’esportazione. Da dove arrivano, quindi, le mascherine comprate dalla Regione? Da una serie ininterrotta di telefonate a chiunque avesse un aggancio soprattutto in Cina dove la produzione è maggiore. L’arte dell’arrangiarsi su larga scala si applica bene anche a quella intermedia (imprenditoriale con le riconversioni) giù giù fino a quella individuale grazie alle riscoperte doti sartoriali di nonne e zie.
Ad un certo punto, però,Grafica Veneta ha messo a punto (donando i primi 2 milioni di pezzi, vendendo i successivi) gli «schermi protettivi» (ma le chiamano tutti Dumbo) che in queste ore stanno per ottenere la certificazione pre-chirurgica dall’Iss. Le stesse acquistate in stock da parecchi supermercati come Alì per poi donarle alla protezione civile. Con tanto di marchio. Vincenzo D’Arienzo(Pd) ha stigmatizzato «il marketing ai tempi della paura» ma il vicepresidente di Alì, Gianni Canella, commenta: «Dov’è la differenza con l’annuncio di una donazione fatta all’ospedale?». Dopo la grande penuria, le mascherine sono tornate reperibili in farmacia. Certo, non a prezzi modici. Una confezione famiglia da 50 pezzi di chirurgiche arriva a 75 euro. Sul web, per chi punta alle più professionali FFP2, si va dai 5 ai 7 euro l’una. La fame di mascherine, aumentata dall’obbligo per entrare al supermercato, insomma è placata. Per ora. Ma, per dirla col presidente dell’Ordine di Medici, Giovanni Leoni, la stima dei fabbisogni, sanitari e non, è «impressionante». «Pensi - spiega Leoni che ci sono 8.000 medici strutturati ma arriviamo a 30 mila calcolandoli tutti. Per non parlare di infermieri e oss. Una FFP2 è sterile e dura 8 ore. Per la popolazione andrebbero molto bene le chirurgiche ma parliamo di 5 milioni di persone. Faccia lei due conti...».
Non stupisce, quindi, che Grafica Veneta abbia fatto scuola, sono già una quarantina le aziende del tessile-abbigliamento di Confindustria pronte a riconvertirsi per produrre mascherine, camici, calzari e cuffie sanitari. Il processo, però, non è semplicissimo. La buona volontà ce l'hanno messa Confindustria e l’università di Padova con la nascita a tempo di record di una task force coordinata dal professor Fabrizio Dughiero e dall’allestimento di 4 laboratori per testare i prodotti. Con tanto di realizzazione al volo di macchinari per i test. L’ateneo, però, non è un ente certificato. La norma emergenziale prevede che le aziende «riconvertite» si autocertifichino visto che Iss e Inail stanno affogando fra le migliaia di richieste di certificazione. I test effettuati da un soggetto qualificato come l'università servono a rafforzare le autocertificazioni delle aziende. E da Roberto Bottoli, settore moda di Confindustria, arriva una lettera al governatore Zaia: «Pronti a riconvertire ma la Regione ci sollevi dai costi di certificazione e promuova l’acquisto di dispositivi di protezione prodotti in Veneto».