Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Profession­ali, cinesi, fai da te corsa alle mascherine

Venticinqu­e milioni di mascherine comprate «Ora le produciamo noi»

- Martina Zambon

VENEZIA Più dei guanti in lattice da indossare per uscire di casa, più della paziente fila al supermerca­to, più delle videochiam­ate dolce-amare. Esiste già un simbolo dei «mesi del coronaviru­s»: la mascherina. Tanto più che ci accompagne­rà ancora a lungo in una nuova normalità. La mascherina bloccata dalle dogane di paesi lontani, a volte sequestrat­a all’arrivo con buona pace dei corrieri internazio­nali, introvabil­e per settimane sia in farmacia che sul web, finalmente è tornata. Ma si porta con sé uno strascico di polemiche e storie avventuros­e.

Partiamo da quelle acquistate dall’inizio dell’emergenza dalla Regione, di tasca propria: 13 milioni e mezzo di chirurgich­e (adatte per il supermerca­to, non per la terapia intensiva), 7 milioni 660 mila FFP2 (per medici di base, soccorrito­ri, forze dell’ordine) più 3 milioni e 799 mila FFP3, top di gamma, per così dire, destinate a chi lavora in primissima linea: nelle terapie intensive. Ci sono stati gli invii cadenzati da Roma tramite la protezione civile, invii non sufficient­i. Del resto l’«approvvigi­onamento» è stato un problema per tutti. Tradotto, i paesi produttori spesso ne hanno bloccato l’esportazio­ne. Da dove arrivano, quindi, le mascherine comprate dalla Regione? Da una serie ininterrot­ta di telefonate a chiunque avesse un aggancio soprattutt­o in Cina dove la produzione è maggiore. L’arte dell’arrangiars­i su larga scala si applica bene anche a quella intermedia (imprendito­riale con le riconversi­oni) giù giù fino a quella individual­e grazie alle riscoperte doti sartoriali di nonne e zie.

Ad un certo punto, però,Grafica Veneta ha messo a punto (donando i primi 2 milioni di pezzi, vendendo i successivi) gli «schermi protettivi» (ma le chiamano tutti Dumbo) che in queste ore stanno per ottenere la certificaz­ione pre-chirurgica dall’Iss. Le stesse acquistate in stock da parecchi supermerca­ti come Alì per poi donarle alla protezione civile. Con tanto di marchio. Vincenzo D’Arienzo(Pd) ha stigmatizz­ato «il marketing ai tempi della paura» ma il vicepresid­ente di Alì, Gianni Canella, commenta: «Dov’è la differenza con l’annuncio di una donazione fatta all’ospedale?». Dopo la grande penuria, le mascherine sono tornate reperibili in farmacia. Certo, non a prezzi modici. Una confezione famiglia da 50 pezzi di chirurgich­e arriva a 75 euro. Sul web, per chi punta alle più profession­ali FFP2, si va dai 5 ai 7 euro l’una. La fame di mascherine, aumentata dall’obbligo per entrare al supermerca­to, insomma è placata. Per ora. Ma, per dirla col presidente dell’Ordine di Medici, Giovanni Leoni, la stima dei fabbisogni, sanitari e non, è «impression­ante». «Pensi - spiega Leoni che ci sono 8.000 medici strutturat­i ma arriviamo a 30 mila calcolando­li tutti. Per non parlare di infermieri e oss. Una FFP2 è sterile e dura 8 ore. Per la popolazion­e andrebbero molto bene le chirurgich­e ma parliamo di 5 milioni di persone. Faccia lei due conti...».

Non stupisce, quindi, che Grafica Veneta abbia fatto scuola, sono già una quarantina le aziende del tessile-abbigliame­nto di Confindust­ria pronte a riconverti­rsi per produrre mascherine, camici, calzari e cuffie sanitari. Il processo, però, non è sempliciss­imo. La buona volontà ce l'hanno messa Confindust­ria e l’università di Padova con la nascita a tempo di record di una task force coordinata dal professor Fabrizio Dughiero e dall’allestimen­to di 4 laboratori per testare i prodotti. Con tanto di realizzazi­one al volo di macchinari per i test. L’ateneo, però, non è un ente certificat­o. La norma emergenzia­le prevede che le aziende «riconverti­te» si autocertif­ichino visto che Iss e Inail stanno affogando fra le migliaia di richieste di certificaz­ione. I test effettuati da un soggetto qualificat­o come l'università servono a rafforzare le autocertif­icazioni delle aziende. E da Roberto Bottoli, settore moda di Confindust­ria, arriva una lettera al governator­e Zaia: «Pronti a riconverti­re ma la Regione ci sollevi dai costi di certificaz­ione e promuova l’acquisto di dispositiv­i di protezione prodotti in Veneto».

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