Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Tommy Vee dj Il «fenomeno» si svela e racconta
Il dj veneziano racconta su Instagram 27 anni di carriera e i dischi che ha amato Record di visualizzazioni. «Per fare il mio mestiere ci vuole cultura ed esperienza»
«Èun modo per fare educazione alla dance, raccontandola in maniera del tutto personale. L’ho intitolata My life in music e non ha pretese di essere una lezione, faccio ascoltare e spiego quei dischi che hanno creato il mio background e accompagnato in questi 27 anni di carriera». Le storie Instagram di My life in music postate giornalmente dal dj veneziano 46enne Tommy Vee sono diventate un fenomeno della rete con migliaia di visualizzazioni in tutto il mondo e condivisioni da star come Terry Farley e Cypress Hill. In questo periodo moltissimi musicisti, dj compresi, realizzano dirette sui social, ma le sue sono tra le più seguite e originali.
Come nasce l’idea? «Quando è iniziata la quarantena ho pensato alle dirette ma, mentre mi stavo organizzando per realizzarle, ho capito che la musica da club senza club non manteneva la propria dignità e che, da un punto di vista estetico, non si avvertiva grande differenza tra una star e un esordiente. Ho pensato così a che cosa potevo avere di più di altri: esperienza, cultura, conoscenza e mestiere. Ed è nato My life in music».
Studia una scaletta delle sue storie?
«Mi faccio guidare solo dall’istinto, inizio da quello che ho voglia di riascoltare. Per la prima puntata ho preso la mia cartella di classici e sono partito, mettendo su West End
Girls dei Pet Shop Boys e raccontando dei miei viaggi in Inghilterra da ragazzo».
Di quale «puntata» di My life in music è più soddisfatto?
«L’altro giorno ho infilato uno storytelling avvincente di tre dischi che non c’entravano nulla l’uno con l’altro ma che avevano un solo grado di separazione tra di essi. Ho iniziato parlando di Will Smith coinvolgendo Quincy Jones, produttore di Willy, il principe di Bel-Air, poi sono passato
a un remix di Jones da parte di Mousse T. e sono arrivato a MK, un produttore house sparito per dieci anni dalle scene proprio perché lavorava con Will Smith».
Che cosa ha scoperto o riscoperto con questa sua operazione?
«In My life in music racconto tutto quello che mi piace: dance, elettronica, hip hop ed acid jazz. La scoperta più grande è stata che, basandomi sui messaggi diretti ricevuti, molti professionisti non conoscevano gran parte della musica che per me è fondamentale».
Rispetto a 15 anni fa quanto è cambiato il mestiere del dj?
«Ho vissuto tutti i cambiamenti del ruolo di dj: da jukebox umano a selezionatore che impone un proprio gusto, fino a star. I giovani dj hanno un grande limite: ascoltano un solo genere che poi propongono. La bravura dei dj sta invece nel sapere creare emozioni, oggi invece è solo questione di estetica».
È per questo che vanno di moda le modelle-dj?
«Esatto. Proposte di basso livello non emozionano e allontanano il pubblico. È per questo che tra i giovani ci sono pochi fenomeni, c’è un appiattimento assoluto nelle proposte».
Quali sono i suoi ascolti usuali e quale è l’ultimo disco che ha amato di più?
«Senza dubbio i dischi che ho ascoltato di più nella mia vita sono quelli di Frank Sinatra. Recentemente il disco che più è protagonista dei miei set è “17” di MK. Adoro poi Dua Lipa, per me un genio».