Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Bio contenimen­to e tende militari Nel cuore dell’ospedale Covid

La Regione ha investito 3 milioni per trasformar­e l’ospedale in un centro specializz­ato nella lotta al virus con apparecchi che finora erano un’esclusiva militare

- Priante

Ventilator­i, tende e sistemi progettati contro l’ebola, viaggio a Schiavonia, nel Covid-Hospital che la Regione ha trasformat­o nel centro anti virus.

A Schiavonia si registrò la prima vittima: ora si curano 150 contagiati

SCHIAVONIA (PADOVA) Sul totem al primo piano dell’ospedale un’impiegata ha incollato i disegni spediti dai bambini. Su uno c’è scritto «Che bello quando saremo ancora tutti insieme», e ci sono i cuori colorati e le infermiere che si tengono per mano.

Il «Madre di Teresa di Calcutta» di Schiavonia, in provincia di Padova, a suo modo è diventato un simbolo del Veneto che si batte contro il coronaviru­s. Non solo perché è proprio qui che, il 21 febbraio, per la prima volta nel nostro Paese un uomo è deceduto a causa di quel nemico invisibile. Ma soprattutt­o perché - 48 giorni e 17mila morti dopo - questa struttura è diventata un Covid Hospital, in pratica accoglie esclusivam­ente pazienti che hanno contratto l’infezione. Tutti gli altri malati sono stati trasferiti altrove e nel frattempo, lavorando senza sosta, si è riusciti a ridisegnar­e gli spazi, si sono aggiunti ventilator­i e macchinari fino ad adattare i reparti alle esigenze di una malattia che colpisce soprattutt­o le vie respirator­ie.

Oggi ospita fino a duecento contagiati, con il possibile allargamen­to a trecento e l’annuncio - fatto ieri dal governator­e Luca Zaia - che proprio a Schiavonia sarà allestito uno dei due ospedali da campo donati dal Qatar. Per fare un esempio, se prima poteva contare su dodici posti di terapia intensiva, oggi ne ha cinquanta. Altri cento letti nel reparto di Malattie infettive, che è stato esteso fino a prendersi interi padiglioni. E poi ci sono i cinquanta posti in terapia semiintens­iva. Qui, da oggi, cominceran­no a essere trasferiti un terzo dei 150 pazienti attualment­e ricoverati.

La novità principale sta nelle ventiquatt­ro stanze dotate di tende di bio-contenimen­to, dove verranno sistemati alcuni dei malati che hanno gravi difficoltà respirator­ie. Le ha progettate la «Omp», ditta vicentina che da anni rifornisce l’Aeronautic­a Militare. «Queste tende sono dotate di apparecchi­ature simili a quelle che avevamo progettato per il trasporto dei malati di ebola», spiega l’ingegnere Mauro Magrin. Certo, qui non si tratta di trasferire i contagiati da un aeroporto all’altro ma di creare delle «celle a pressione negativa in grado di garantire un isolamento assoluto e, attraverso tre micro-filtri, di “catturare” il virus restituend­o all’ambiente un’aria purificata», spiega il direttore sanitario, Patrizia Benini. Il paziente viene assistito nella tenda e, con questo meccanismo di contenere l’aria infetta nella cella e poi farla uscire pulita, si riduce il rischio di contagio per medici e inferavess­e mieri del reparto. Quello di Schiavonia, almeno per ora, è l’unico ospedale del Veneto dotato di questi sistemi di bioconteni­mento.

Dalle finestre del primo piano, nel cortile, si scorge un altro genere di tende. Sono quelle che nelle scorse settimane erano state montate dalla protezione civile: se l’ospedale esaurito i posti-letto, potevano essere adattate a ricoveri d’emergenza. «Per fortuna non è stato necessario utilizzarl­e - prosegue Benini - ma restano lì, qualora lo scenario dovesse improvvisa­mente peggiorare». Un monito per il futuro. È la grande paura: che il calo dei nuovi contagi registrato in questi giorni sia un’illusione, che il virus stia bluffando e abbia solo deciso di prendersi una pausa per poi tornare più aggressivo di prima, magari non appena le persone smetterann­o di rispettare le regole. «Ci sono ancora molte cose che non sappiamo del Covid 19» ammette il primario di Terapia intensiva, Fabio Baratto. «È ovvio che sia così, visto che fino a due mesi fa nessuno di noi ci aveva mai avuto a che fare. Ci chiediamo quanto tempo occorra perché un paziente possa considerar­si davvero guarito e se qualche sintomo rimanga anche dopo. Non abbiamo tutte le risposte. E purtroppo, non sappiamo quanto ancora durerà questa situazione».

L’unica certezza è che qui, come sta accadendo un po’ ovunque in Veneto, calano i ricoveri e anche ieri diversi pazienti sono potuti tornare a casa. E così, diversi sindaci della zona già premono per riavere il «loro» ospedale. «La Regione spiega Domenico Scibetta, direttore generale dell’Usl Euganea - ha investito tre milioni per potenziare le dotazioni di questa struttura. Ora stiamo pensando alla fase-2, nel senso che ci sarà una progressiv­a riapertura dei reparti tradiziona­li». Ma sia chiaro: è presto per pensare a una dismission­e del Covid Hospital di Schiavonia. «Non smanteller­emo tutto quello che abbiamo messo in piedi. Soltanto così, se ci sarà una nuova emergenza, saremo pronti ad affrontarl­a».

Benini Le strutture montate nel cortile dell’ospedale? Restano lì, qualora lo scenario dovesse peggiorare all’improvviso

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Medici e infermieri all’interno di una delle strutture allestite all’interno dell’ospedale di
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(foto Bergamasch­i) Nel Padovano Medici e infermieri all’interno di una delle strutture allestite all’interno dell’ospedale di Schiavonia
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