Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

L’atelier delle star e la parabola interrotta: «Un mese per salvarsi»

- Giulia Busetto

VENEZIA I capispalla primavera estate stanno prendendo la polvere appesi ai manichini delle botteghe chiuse per decreto. Le giacche di montone della collezione autunno inverno sono intrappola­te nei bozzetti di carta, che di prendere forma con la fabbrica ferma per il lockdown non c’è verso. Ma anche se Suprema riaprisse questo mese, otto capi su dieci fatichereb­bero a prendere il volo oltre confine, anche se contesi dalle aziende d’abbigliame­nto di tutto il mondo. Perché in piena pandemia le esportazio­ni soffrono al pari di tutto il resto.

Gli oltre 6 milioni di fatturato del 2019 sono un miraggio per l’atelier della Riviera del Brenta, in provincia di Venezia, che veste anche le stelle nostrane del cinema. Carolina Crescentin­i, Fabio Troiano, Gianmarco Tognazzi e molti altri dovranno aspettare chissà quanto tempo per indossare i nuovi trend dell’azienda. «Se non riapriamo entro questo mese saranno perdite pesanti - confida il direttore marketing Alberto Vanuzzo, seconda generazion­e al timone dell’azienda di famiglia -. Ma il problema è internazio­nale. Anche si riaprisse presto, con le difficoltà nelle esportazio­ni (l’80% del nostro mercato) noi restiamo fermi». Per l’imprendito­re il calo di un minimo di 35% nelle vendite invernali è una stima realistica; e c’è l’incognita dei 350 negozi clienti in tutto il mondo: «Metà dei quali, per paura di questa situazione incerta, non ci hanno più confermato gli ordini. Ad oggi metà della campagna vendite è sospesa. E c’è metà dell’ordinato che va comunque prodotto. Ma ora non possiamo né produrlo né esportarlo».

Produzione, tra le poche nel circondari­o, interament­e italiana, che subirebbe danni difficilme­nte calcolabil­i se la chiusura delle fabbriche si allungasse anche nel mese di maggio: «Se la riapertura fosse ad aprile, forse ce la potremmo fare a recuperare qualcosa; dopo sarà complicati­ssimo. Nel settore tessile, al di là della manifattur­a che cuce il capo, la filiera dell’approvvigi­onamento è complessa. Ha tempistich­e di mesi».

Nuovi clienti, una nuova etichetta creativa, una linea uomo mai osata prima. Spegnere le luci adesso è un freno a mano tirato in corsa: «Eravamo dinamici come mai e i clienti se ne erano accorti. La pandemia ci ha interrotti sul più bello. La collezione 2020 era partita benissimo». Ma di forzare l’apertura non se ne parla, «perché l’emergenza ha la priorità. Però uno Stato degno di questo nome - si appella al governo Vanuzzo - fa come Germania e Stati Uniti, fornisce tutte le misure di sussistenz­a necessarie. Per campare sull’emergenza devo rischiare sulla salute dei miei lavoratori? No. Deve pensarci lo Stato. Ci sono aziende come la nostra che hanno finanziame­nti bancari da pagare. E anche se le banche sono disposte a posticipar­li non li eliminano di certo. Bisogna fare ancora di più per le aziende».

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Alberto Vanuzzo 30 anni, di direttore marketing e comunicazi­one

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