Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Boss, narcotrafficanti: undici scarcerati in Veneto
In una lista alla commissione Antimafia, i detenuti che hanno lasciato le prigioni della nostra regione per finire ai domiciliari. Il ministro: torneranno dentro
VENEZIA Dal boss della camorra al trafficante di droga, dall’esponente di spicco della criminalità organizzata al gregario dei clan. Nomi contenuti in una lista inviata alla commissione parlamentare Antimafia. Lì dentro, anche gli undici detenuti delle carceri venete che hanno potuto lasciare le loro celle e tornare a casa nelle ultime settimane. Tutti, messi agli arresti domiciliari per scongiurare il rischio che in prigione possano contrarre il coronavirus.
Ci sono i boss della camorra e i trafficanti di droga, gli esponenti di spicco dei clan e i gregari. Nomi contenuti in una lista inviata alla commissione parlamentare Antimafia. Lì dentro, ci sono anche gli undici detenuti delle carceri venete che hanno potuto lasciare le loro celle e tornare a casa nelle ultime settimane. Tutti, messi agli arresti domiciliari per scongiurare il rischio che in prigione possano contrarre il coronavirus.
L’elenco, cinque pagine in tutto, è stato redatto dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e rivela che complessivamente, in tutta Italia, sono 376 i mafiosi e trafficanti di droga scarcerati causa pandemia. Sessantasette a Napoli, trentotto a Milano, sedici a Torino... Come il boss di Palermo Antonino Sacco, considerato l’erede dei fratelli Graviano, o come il padrino Gino Bontempo.
E poi ci sono gli undici veneti: due scarcerati da Rovigo, uno da Padova, sei da Vicenza e due da Belluno.
Dal Due Palazzi è finito ai domiciliari Enrico Muzzolini, 72 anni, ex uomo di spicco di un vasto traffico di droga tra Italia e Colombia. Stando alle accuse, era l’intermediario di una banda che importava in Europa grossi quantitativi di cocaina nascosti dentro barche a vela e container.
A Vicenza era recluso il boss Nicola Antonio La Selva, che a Conversano gestiva il lo spaccio di stupefacenti. E sempre dal carcere di San Pio X è uscito Armando Savorra, 63 anni, già incappato in diverse inchieste di camorra e considerato un gregario del clan di Ciro Contini, nipote del boss Eduardo Contini. Dalla stessa prigione è uscito Vincenzo Pellegrino, finito in manette nel corso di un’operazione contro la ‘ndrangheta coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. Ai domiciliari anche Antimo Rolando Vasapollo, ex capo di una delle piazze di spaccio di Napoli.
Il caso dei boss scarcerati sta sollevando forti polemiche. Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha assicurato che, «passata l’emergenza sanitaria», molti torneranno in cella.
«I provvedimenti con i quali vengono disposte le scarcerazioni “in anticipo” rispetto al cosiddetto fine pena – spiega il magistrato di sorveglianza di Padova Lara Fortuna - si fondano su norme ispirate al principio della finalità rieducativa, che può essere conseguita anche al di fuori del carcere. Nella gran parte di casi si tratta di detenuti che hanno già espiato buona parte della pena. La legge, e prima ancora la nostra Costituzione, impongono la tutela del diritto alla salute dei detenuti come di qualsiasi cittadino: questo significa che nei casi in cui non sia possibile garantire le cure in carcere, il detenuto deve essere trasferito, con le opportune cautele, in detenzione domiciliare per il tempo necessario a tutelarne la salute».
Neppure Giampietro Pegoraro, della Cgil polizia penitenziaria, sembra scandalizzarsi alla notizia delle scarcerazioni usate come misura anti-contagio: «Occorre tenere sempre presente le condizioni delle nostre case di reclusione, spesso sovraffollate. La scarcerazione alleggerisce l’intero sistema, ma nulla viene fatto in modo grossolano e non ci sono domiciliari concessi “a pioggia”. Il magistrato di sorveglianza ha proprio il compito di valutare il percorso di ciascun detenuto». Sia chiaro, Pegoraro non è favorevole alla scarcerazione «di massa» dei mafiosi: «Mi stupisce quanto sta avvenendo in altre carceri, ma di sicuro qui in Veneto c’è molta attenzione al percorso rieducativo del detenuto, che viene valutato da un pool di esperti prima di accedere a certi benefici».
Neppure Mattia Loforese del Sinappe appare preoccupato: «Nella nostra regione non abbiamo carceri che possono ospitare mafiosi “di rango”. A Padova c’è un braccio del Due Palazzi classificato come “alta sicurezza” ma c’è una sostanziale differenza tra questa e il carcere duro del 41bis».