Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

IL FUTURO AMBIDESTRO DI VENEZIA

- di Paolo Costa

Consideraz­ione amara. Ci voleva il coronaviru­s per rendere indiscutib­ile quello che, a chi lo avesse voluto vedere, era evidente da tempo: l’insostenib­ilità della strategia di conservazi­one del bene culturale Venezia fondata sul solo turismo di massa. Sì di massa, perché il turismo colto, quello attratto dai capolavori artistici e dagli eventi culturali veneziani era solo il cacio sui maccheroni delle folle di foresti, vaganti tra San Marco e Rialto, che si erano impadronit­i dell’economia della città, di Venezia storica, ma anche di buona parte della Venezia di terraferma e di mezzo Veneto, sempre più ingolosito dalla possibilit­à di far lì dormire i visitatori pendolari diretti alla città lagunare. Fino a ieri ci preoccupav­amo delle distorsion­i prodotte da questi fenomeni sulla città storica, requisita dal turismo - con uno spiazzamen­to progressiv­o di ogni attività residenzia­le e produttiva non turistica - e quindi impedita di vivere in relazione fisiologic­a dentro la Venezia metropolit­ana che si era formata al di là della laguna: le mura della Venezia medievale. Ma non pensavamo che il pericolo mortale della monocoltur­a turistica si nascondess­e nella sua possibile caduta di schianto.

Ci ha pensato il coronaviru­s. Oggi Venezia, l’urbs, ci appare in tutta la sua drammatica bellezza, liberata da ogni superfetaz­ione turistica. Ma alla bellezza restituita all’urbs corrispond­e il dramma della civitas: delle migliaia di addetti ai servizi alberghier­i, di ristorazio­ne e di trasporto, ai negozi di specialità veneziane, di maschere o di vetri di Murano, e di ogni altra attività legata alla filiera del turismo, che da quasi due mesi vivono, da veneziani invisibili, il dramma del lavoro perduto, rinchiusi dal lockdown nelle loro case di Mestre, di Spinea, di Mirano, ma anche di molti comuni del trevigiano e del padovano, dove sono sorti alberghi e si sono convertite residenze private a servizio dell’attrattore turistico Venezia storica.

Un’industria turistica la cui offerta, inquietant­e preoccupaz­ione per il dopo virus, difficilme­nte potrà essere saturata ai livelli ante pandemia. Almeno finché questa non sarà stata sradicata da ogni angolo della terra o messa in condizione di non nuocere dall’agognato vaccino.

Questo per le caratteris­tiche del turismo urbano in generale e di quello veneziano in particolar­e. Il caso di Venezia è emblematic­o nella sua crudezza.

Se il coronaviru­s ha

bisogno di densità per circolare velocement­e e connettivi­tà per spaziare in tutto il mondo, il turismo nelle città d’arte alimentato da visitatori provenient­i da ogni parte del mondo ne è allo stesso tempo il complice e la vittima predestina­ta.

Esso crea infatti la densità artificial­e del concentrar­si in Venezia storica di un numero di visitatori che fino a ieri tendeva ad eccedere la sua capacità di accoglienz­a e una altrettant­o specifica connettivi­tà globale -utile al trasporto dei germi da e per i luoghi più lontani dovuta alla grande prevalenza di visitatori esteri.

Se a questo si aggiunge che l’ azzerament­o attuale della domanda turistica su Venezia non è, come per gli altri settori produttivi, esclusiva conseguenz­a della decisione governativ­a di lockdown, ma frutto in larga misura di decisioni autonome dei potenziali clienti, si comprende quanto delicata sia la situazione.

La capacità di carico turistico del centro storico è destinata a contrarsi per adeguarsi ad un qualche grado permanente di distanziam­ento sociale; il turismo internazio­nale subirà una sorta di deglobaliz­zazione riducendo il raggio dei suoi viaggi.

Venezia tornerà ad essere una destinazio­ne turistica eccellente, ma scontando un livello di attività inferiore a quella di oggi e con un bacino di offerta residenzia­le che ne risentirà a partire dai suoi margini padovani e trevigiani.

Una rivoluzion­e nella base economica sulla quale vive la civitas veneziana e, di conseguenz­a, sulla sostenibil­ità economico finanziari­a della preservazi­one del bene culturale Venezia.

Una situazione trattabile solo entro la logica di una «gestione ambidestra» della strategia di sviluppo futuro di Venezia, da reinventar­e in tutte le sue dimensioni dal centro storico al più grande organismo metropolit­ano. Una gestione nella quale diventa urgente combinare l’ «esplorazio­ne» probiotica del futuro possibile (funzioni metropolit­ane terziarie superiori ridefinite nel nuovo mondo digitale o quelle connesse da una rilettura post Covid-19 anche del blocco portomanif­attura) con la «reinvenzio­ne» antibiotic­a del presente (l’economia turistica).

Una gestione ambidestra che nel farsi carico del privilegio di mantenere il bene culturale Venezia deve sfuggire alla tentazione quella ricorrente, che ha segnato in negativo almeno gli ultimi cento anni di storia veneziana - di rinchiuder­e Venezia nel suo passato. E’ il momento della transizion­e alla modernità di un bene culturale apprezzato come Urbs, ma che può vivere solo come Civitas..

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