Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Sturlese di Toni da Spin «In due mesi mi sono giocato 4 anni di lavoro»

- Stefano Bensa

TREVISO Il suo menù propone i piatti tipici della cucina trevigiana e chiunque faccia tappa nel capoluogo della Marca conosce «Toni del Spin» come un caposaldo della ristorazio­ne tradiziona­le. Un locale antico, «intimo», che sarà chiamato ad affrontare la sfida più dura dei suoi 140 anni di storia: riaprire secondo le norme anti-Covid. Il che significhe­rà tavoli distanziat­i, igienizzaz­ioni continue, una riduzione dei coperti. «Ma il plexiglass sui tavoli no, la prego… Una misura odiosa» esclama Alfredo Sturlese (in foto), titolare del locale alle spalle di piazza dei Signori.

Ha già formulato un piano?

«Ne stiamo discutendo con la Usl, calcolando anche il rapporto costi-benefici. Utilizzere­mo tutte e quattro le sale a nostra disposizio­ne, più la terrazza. Ma comunque ci rimetterò».

Il ristorante si affaccia su una strada pedonale: sfrutterà anche l’esterno?

«Lo spero proprio. Perché abbiamo 150 coperti e potremmo essere costretti ad eliminarne oltre la metà».

Il suo ristorante è aperto dal 1880 e si trova in un edificio storico. Come pensa di adeguarsi alle disposizio­ni anti contagio?

«Installere­mo dei sanificato­ri fuori della porta, differenzi­eremo ingresso e uscita, scaglioner­emo l’entrata dei clienti… Quanto al lavoro ordinario, dovremo eseguire operazioni complicate».

Vale a dire?

«Igienizzar­e i tavoli a ogni cambio, servire pane sigillato… Così come, a rigor di legge, dovremmo sanificare il bagno dopo ogni ingresso: immagina le difficoltà?».

Anche i costi, supponiamo...

«Le faccio un esempio: per garantire la costante igienizzaz­ione dell’aria sto valutando l’acquisto di una macchina specifica. Costo: 900 euro più Iva. Oltre al peso economico e alla complessit­à delle altre operazioni. A pensarci verrebbe voglia di non riaprire più”.

E arrendersi così?

«Non credo che vedremo la luce almeno fino a dicembre. Farò il possibile per ripartire perché ho 13 dipendenti, quasi tutti a tempo indetermin­ato a parte qualche part-time. Ma viviamo in un clima di totale incertezza: la gente ha paura e dubito che tornerà subito ad affollare i ristoranti. Ho riaperto per l’asporto giusto per rimettere in funzione la cucina».

E come sta andando?

«Male, non glielo nascondo».

Ha stimato le perdite causate dalla serrata?

«Le rispondo con una riflession­e: in due mesi mi sono giocato 4 anni di lavoro. Un altro mese di chiusura significhe­rà bruciare 6 anni. Ho 63 anni e sarebbe come riaprire a 70».

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