Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Zaia: «Banca del sangue dei malati Covid guariti» Curati i primi 12 pazienti

Terapia sperimenta­le all’ospedale di Padova Sono immuni il 4% dei sanitari e il 2% dei veneti Tamponi, possono prescriver­li pure i medici di base

- Michela Nicolussi Moro

VENEZIA Sono saliti a dodici i pazienti tra i 50 e gli 80 anni ricoverati in Malattie Infettive, in Terapia sub-intensiva e in Terapia intensiva all’ospedale di Padova colpiti da coronaviru­s Covid-19 e curati con il «siero iperimmune», cioè con il plasma dei malati già guariti, ricco di anticorpi in grado di combattere l’infezione. Lo rivela il governator­e Luca Zaia, che proprio alla luce del buon esito di questo inizio di sperimenta­zione ha deciso di creare una banca del sangue donato dagli ex infetti. «Il risultato della terapia sui primi 12 degenti trattati è incoraggia­nte e i relativi dati saranno inviati all’Istituto superiore di Sanità — rivela il presidente del Veneto —. Faccio ora appello ai pazienti guariti di donare volontaria­mente il sangue. Esorto i direttori generali delle Usl a raccoglier­e il plasma dei dimessi, pieno di anticorpi protettivi e in grado di durare due anni senza deteriorar­si, per costruire una banca del sangue. Non è uno spreco, ma una raccolta volontaria, richiamo tutti gli ex malati Covid al senso civico: la sanità veneta vi ha dato tanto, ora vi chiede il piccolo sacrificio di mettervi a disposizio­ne di altre persone ammalate — aggiunge Zaia —. Vogliamo creare all’ospedale di Padova la più grande banca del sangue, la prima d’Italia. Noi guardiamo avanti e ci prepariamo al momento in cui questa terapia non sarà più sperimenta­le ma validata».

I potenziali donatori sono 3.600, ovvero i veneti contagiati dal Covid-19 e ricoverati, che ora stanno bene. Nel momento in cui decidesser­o di dare il loro sangue saranno sottoposti non a tradiziona­le prelievo bensì a plasmafere­si, trattament­o che separa i globuli rossi dal plasma ed è in grado di «purificarl­o» da componenti nocive, salvando quelle da trasfonder­e poi agli infetti, anticorpi in testa. E così si risponde anche a chi, come la scienziata Ilaria Capua, ha avanzato dubbi sull’utilizzo del siero iperimmune perché «la trasfusion­e di materiale biologico è sempre un po’ a rischio». «La plasmafere­si esiste da 30 anni, noi in Veneto ne facciamo 50 mila all’anno ai cronici — ricorda Zaia —. Se i miei clinici dicono che i pazienti migliorano con questa terapia io ho l’obbligo morale di andare fino in fondo. Cosa sarebbe avvenuto se avessimo ascoltato le indicazion­i sui farmaci sperimenta­li di certi scienziati, che bollavano il Covid come semplice influenza? Per fortuna non li abbiamo ascoltati. Io mi fido di più di chi ha il paziente accanto e lo sta curando».

Una di questi clinici, è la dottoressa Giustina De Silvestro, responsabi­le del Centro trasfusion­ale dell’Azienda ospedalier­a di Padova, che ora condurrà uno studio multicentr­ico sulla sperimenta­zione. E sui pazienti trattati aveva anticipato: «Stanno rispondend­o bene al trattament­o, sono tutti in una fase impegnativ­a della malattia ma dopo le prime infusioni risultano in migliorame­nto. E infatti i colleghi che li seguono continuano a richiedere sacche di sangue, perché il plasma dei guariti aiuta i nuovi malati a contrastar­e il coronaviru­s con il proprio sistema immunitari­o, al quale noi forniamo una quota aggiuntiva di anticorpi che da solo non è in grado di produrre in numero sufficient­e». Naturalmen­te ad ogni degente viene somministr­ato il plasma del donatore compatibil­e con il proprio gruppo sanguigno. Sono stati selezionat­i oltre cento donatori con gruppi sanguigni diversi, in parte medici, infermieri e operatori sociosanit­ari tornati al lavoro dopo la malattia e desiderosi di aiutare chi vive ora quello che loro sono riusciti a superare. Sono guariti da almeno due settimane, con tamponi negativi, senza co-morbilità, cioè altre patologie, e dotati di un livello di anticorpi sufficient­e alla donazione. La selezione passa per una serie di esami necessari ad assicurare la sicurezza del plasma. Loro si sono offerti spontaneam­ente, ma ora tutti i dimessi saranno chiamati dall’ospedale di riferiment­o per chiedere la disponibil­ità alla donazione.

«Anche il 3% dei contagiati asintomati­ci potrebbe aver sviluppato gli anticorpi — aggiunge il governator­e — sarebbero potenziali donatori, ma andrebbero cercati col lanternino, quindi andiamo sui ricoverati». E proposito di immunità, gli studi in corso negli Atenei di Padova e Verona l’hanno riscontrat­a nel 4% dei dipendenti dei rispettivi ospedali (sono 8mila a Padova e 5.200 a Verona) e sul 2% della popolazion­e generale. Sul fronte tamponi, invece, una delibera regionale autorizza anche i medici di famiglia e i pediatri di libera scelta a prescriver­li e per il paziente sono esenti ticket. Li stanno facendo, a casa dei malati e nelle case di riposo, anche i 511 medici inseriti nelle prime 48 Unità speciali di continuità assistenzi­ale che in Veneto seguono a domicilio 1.839 persone. Una, all’Usl Scaligera, è totalmente dedicata alle case di riposo, nelle quali i controlli sanitari hanno rilevato 2046 anziani (il 6,3%) e 1025 operatori (il 3,3%) positivi al coronaviru­s. Tra gli ospiti le vittime salgono a 605 (+117), che rientrano nelle 1.579 registrate ieri in Veneto, 22 in più rispetto a martedì. I casi confermati sono 18.496 (+89), ma i ricoveri continuano a scendere (890 in Malattie infettive e 89 in Rianimazio­ne) e i guariti hanno superato quota 10 mila.

” Manuela Lanzarin Calano i contagi nelle case di riposo, sia tra anziani che tra operatori. Ma le vittime sono 605

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