Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Zaia: «Banca del sangue dei malati Covid guariti» Curati i primi 12 pazienti
Terapia sperimentale all’ospedale di Padova Sono immuni il 4% dei sanitari e il 2% dei veneti Tamponi, possono prescriverli pure i medici di base
VENEZIA Sono saliti a dodici i pazienti tra i 50 e gli 80 anni ricoverati in Malattie Infettive, in Terapia sub-intensiva e in Terapia intensiva all’ospedale di Padova colpiti da coronavirus Covid-19 e curati con il «siero iperimmune», cioè con il plasma dei malati già guariti, ricco di anticorpi in grado di combattere l’infezione. Lo rivela il governatore Luca Zaia, che proprio alla luce del buon esito di questo inizio di sperimentazione ha deciso di creare una banca del sangue donato dagli ex infetti. «Il risultato della terapia sui primi 12 degenti trattati è incoraggiante e i relativi dati saranno inviati all’Istituto superiore di Sanità — rivela il presidente del Veneto —. Faccio ora appello ai pazienti guariti di donare volontariamente il sangue. Esorto i direttori generali delle Usl a raccogliere il plasma dei dimessi, pieno di anticorpi protettivi e in grado di durare due anni senza deteriorarsi, per costruire una banca del sangue. Non è uno spreco, ma una raccolta volontaria, richiamo tutti gli ex malati Covid al senso civico: la sanità veneta vi ha dato tanto, ora vi chiede il piccolo sacrificio di mettervi a disposizione di altre persone ammalate — aggiunge Zaia —. Vogliamo creare all’ospedale di Padova la più grande banca del sangue, la prima d’Italia. Noi guardiamo avanti e ci prepariamo al momento in cui questa terapia non sarà più sperimentale ma validata».
I potenziali donatori sono 3.600, ovvero i veneti contagiati dal Covid-19 e ricoverati, che ora stanno bene. Nel momento in cui decidessero di dare il loro sangue saranno sottoposti non a tradizionale prelievo bensì a plasmaferesi, trattamento che separa i globuli rossi dal plasma ed è in grado di «purificarlo» da componenti nocive, salvando quelle da trasfondere poi agli infetti, anticorpi in testa. E così si risponde anche a chi, come la scienziata Ilaria Capua, ha avanzato dubbi sull’utilizzo del siero iperimmune perché «la trasfusione di materiale biologico è sempre un po’ a rischio». «La plasmaferesi esiste da 30 anni, noi in Veneto ne facciamo 50 mila all’anno ai cronici — ricorda Zaia —. Se i miei clinici dicono che i pazienti migliorano con questa terapia io ho l’obbligo morale di andare fino in fondo. Cosa sarebbe avvenuto se avessimo ascoltato le indicazioni sui farmaci sperimentali di certi scienziati, che bollavano il Covid come semplice influenza? Per fortuna non li abbiamo ascoltati. Io mi fido di più di chi ha il paziente accanto e lo sta curando».
Una di questi clinici, è la dottoressa Giustina De Silvestro, responsabile del Centro trasfusionale dell’Azienda ospedaliera di Padova, che ora condurrà uno studio multicentrico sulla sperimentazione. E sui pazienti trattati aveva anticipato: «Stanno rispondendo bene al trattamento, sono tutti in una fase impegnativa della malattia ma dopo le prime infusioni risultano in miglioramento. E infatti i colleghi che li seguono continuano a richiedere sacche di sangue, perché il plasma dei guariti aiuta i nuovi malati a contrastare il coronavirus con il proprio sistema immunitario, al quale noi forniamo una quota aggiuntiva di anticorpi che da solo non è in grado di produrre in numero sufficiente». Naturalmente ad ogni degente viene somministrato il plasma del donatore compatibile con il proprio gruppo sanguigno. Sono stati selezionati oltre cento donatori con gruppi sanguigni diversi, in parte medici, infermieri e operatori sociosanitari tornati al lavoro dopo la malattia e desiderosi di aiutare chi vive ora quello che loro sono riusciti a superare. Sono guariti da almeno due settimane, con tamponi negativi, senza co-morbilità, cioè altre patologie, e dotati di un livello di anticorpi sufficiente alla donazione. La selezione passa per una serie di esami necessari ad assicurare la sicurezza del plasma. Loro si sono offerti spontaneamente, ma ora tutti i dimessi saranno chiamati dall’ospedale di riferimento per chiedere la disponibilità alla donazione.
«Anche il 3% dei contagiati asintomatici potrebbe aver sviluppato gli anticorpi — aggiunge il governatore — sarebbero potenziali donatori, ma andrebbero cercati col lanternino, quindi andiamo sui ricoverati». E proposito di immunità, gli studi in corso negli Atenei di Padova e Verona l’hanno riscontrata nel 4% dei dipendenti dei rispettivi ospedali (sono 8mila a Padova e 5.200 a Verona) e sul 2% della popolazione generale. Sul fronte tamponi, invece, una delibera regionale autorizza anche i medici di famiglia e i pediatri di libera scelta a prescriverli e per il paziente sono esenti ticket. Li stanno facendo, a casa dei malati e nelle case di riposo, anche i 511 medici inseriti nelle prime 48 Unità speciali di continuità assistenziale che in Veneto seguono a domicilio 1.839 persone. Una, all’Usl Scaligera, è totalmente dedicata alle case di riposo, nelle quali i controlli sanitari hanno rilevato 2046 anziani (il 6,3%) e 1025 operatori (il 3,3%) positivi al coronavirus. Tra gli ospiti le vittime salgono a 605 (+117), che rientrano nelle 1.579 registrate ieri in Veneto, 22 in più rispetto a martedì. I casi confermati sono 18.496 (+89), ma i ricoveri continuano a scendere (890 in Malattie infettive e 89 in Rianimazione) e i guariti hanno superato quota 10 mila.
” Manuela Lanzarin Calano i contagi nelle case di riposo, sia tra anziani che tra operatori. Ma le vittime sono 605