Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Giusy e Maria, in casa di riposo il primo incontro tra madre e figlia

- di Andrea Priante

VICENZA Riprendono le visite dei familiari nella casa di riposo di Altavilla Vicentina. Ma per evitare contagi gli incontri avvengono attraverso un vetro.

ALTAVILLA VICENTINA Giusy Zarantonel­lo arriva alla casa di riposo «Papa Luciani» di Altavilla Vicentina con in mano un cartello con su scritto «Mamma ti voglio bene». È emozionata. Per la prima volta, dopo sessanta giorni in cui la struttura è stata interdetta alle visite dei familiari, sta per rivedere sua madre.

«I nostri ospiti hanno bisogno di essere in contatto con la vita, altrimenti è la vita stessa a perdere di senso», ammette il sindaco Carlo dalla Pozza. Per questo motivo, per evitare che la depression­e finisca col seminare più morti del Covid 19, è stato deciso di riaprire agli incontri tra parenti e ospiti della casa di riposo. «In collaboraz­ione con la task force dell’Usl - spiegano dalla direzione - abbiamo studiato un sistema di visite che escluda il rischio di contagio». Non è stata una scelta facile, sia chiaro: degli ottanta ospiti, la metà ha contratto il virus e nove hanno perso la vita. Ora gran parte dei contagiati è guarita ma nell’areaCovid, ricavata al primo piano, c’è ancora una decina di malati.

Maria Facchin, 89 anni, e sua figlia Giusy stanno per sperimenta­re cosa si intenda per «incontro sicuro» ai tempi del coronaviru­s. L’anziana si muove a fatica, con il deambulato­re, e le infermiere l’aiutano a raggiunger­e una vetrata che dà sul cortile. Lì, può sedersi su una poltrona e guardare fuori. Quando le si avvicina, sua figlia non riesce a trattenere le lacrime: Giusy può finalmente rivedere la sua mamma. E tra loro c’è solo una sottile parete di vetro.

Per comunicare devono usare il telefonino, ma è molto diverso dalle videochiam­ate che si facevano nelle scorse settimane. «Finalmente siamo vicine!», dice alla mamma. La chiama «Amore mio», la rassicura: «Come sei bella», «Quanto mi sei mancata». Le mostra quel foglio a lettere colorate. E l’anziana prende il fazzoletto, piange, non riesce quasi più a parlare per la commozione.

Giusy si china e posa una mano sul vetro. «Metti la tua qui, sarà come se ci toccassimo», le spiega. E la madre si avvicina, sorridono mentre le lacrime continuano a scendere, e pare si stiano davvero accarezzan­do.

C’è ancora un po’ di tempo. Le racconta della nipote che non vede l’ora di riabbracci­arla e di quando, un giorno, potranno ricomincia­re le loro passeggiat­e quotidiane.

Maria Facchin vive alla «Papa Luciani» dal 2013, dopo una vita da migrante in Svizzera e poi da mamma e casalinga a Creazzo, nel Vicentino. L’incontro con la sua unica figlia dura quindici minuti. «Torno da te la prossima settimana», promette.

Mentre le infermiere riaccompag­nano l’ospite nella sua stanza, Giusy Zarantonel­lo si allontana con l’espression­e di chi ha appena gustato la vera felicità. «In questa struttura hanno fatto di tutto per proteggere gli anziani - assicura - ma purtroppo il virus è infido e può raggiunger­ci in tanti modi. Ero preoccupat­a, ovvio. Ma poterla vedere e sfiorare la sua mano, mi ha restituito tutta la serenità persa in questi due mesi».

” C’è bisogno di stare in contatto con la vita, altrimenti la vita perde il suo senso

” Finalmente siamo vicine, quanto mi sei mancata, amore mio

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Il dialogo Giusy Zarantonel­lo parla alla madre Maria Facchin

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