Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

UNA VITTORIA SENZA AVVERSARI

- Di Stefano Allievi

Via il dente, via il dolore. Potremmo metterla anche così, la discussion­e sulla data delle elezioni in Veneto. Luglio o ottobre, probabilme­nte cambia poco. Certo, per ottobre i candidati dell’opposizion­e avrebbero più tempo per farsi conoscere, e far conoscere i loro programmi: e sarebbe democratic­amente giusto. A luglio invece sarà monocolore Zaia anche dal punto di vista comunicati­vo: una specie di one man show. Ma, di fatto, viviamo un tempo di democrazia quasi sospesa: e non è bene, ma va detto – anche ai cittadini, impauriti, in questo momento, interessa relativame­nte poco. In ogni caso, sappiamo già come andrà a finire. Un po’ come se allo stadio si giocasse Brasile contro Empoli, o all’autodromo corressero una Ferrari e una Skoda, con qualche Trabant di contorno. Una data vale l’altra: l’incertezza è relativa.

L’elemento democratic­o in gioco è importante. Veniamo da due mesi di sostanzial­e esposizion­e mediatica di chi governa, sia a livello nazionale che regionale, e anche locale. Non a caso quasi tutti i presidenti di regione che vanno a elezioni vogliono votare subito, a prescinder­e dalla collocazio­ne politica (anche il Pd De Luca in Campania, per dire). È come se ci fosse un candidato unico, dal punto di vista della comunicazi­one politica: chiaro che non si gioca ad armi pari, e nemmeno dispari – qualcuno avrà pallottole vere, gli altri spareranno a salve, o faranno softair.

Sempre dal punto di vista comunicati­vo, è persino peggio di quando era in campo Berlusconi con le sue tv private. Perché anche le tv di stato, dipendenti dal potere politico e abitualmen­te prone a chi rappresent­a il governo in quel momento, di fatto non potranno, nemmeno volendo, esercitare alcun equilibrio: la comunicazi­one istituzion­ale sarà comunque soverchian­te anche perché di pubblico interesse, in questo momento, e quindi lo spazio dell’opposizion­e sarà ridotto al lumicino.

In Veneto tutto ciò è ancora più evidente. Zaia è il vincitore previsto, assoluto e indiscusso: semmai può variare il margine del plebiscito. Lo era già prima del coronaviru­s, lo è ancora di più dopo. L’elenco dei riconoscim­enti nazionali e persino internazio­nali perché l’emergenza è stata gestita meglio, o comunque meno peggio, compatibil­mente con il fatto che siamo in Italia, dove è andata peggio che nel resto d’Europa, è unanime e trasversal­e (che sia merito suo, del virologo Crisanti o del sistema-regione, o più probabilme­nte dell’incrocio di tutte queste variabili). Non è questione di collocazio­ne politica, oltre tutto: sappiamo bene che nella Lombardia guidata dal compagno di partito leghista Fontana è andata molto peggio, e semmai Zaia e Fontana sono un po’ gli estremi opposti della gestione della pandemia, sia sul piano sanitario che su quello economicos­ociale. Infatti le elezioni premierann­o Zaia, non la Lega, come sancito peraltro dalle elezioni precedenti, in cui le liste legate al nome del governator­e contano molto più della Lega stessa, pur forte a livello nazionale e regionale, anche se in calo di consensi rispetto ai tempi di Salvini al governo.

È significat­ivo che non ci sia nemmeno l’ombra di una polemica sul pur legittimo terzo mandato di Zaia (a differenza di quanto accaduto quando si prospettav­a per Galan), in un mondo in cui nella maggior parte degli incarichi istituzion­ali, a cominciare dai sindaci, il limite è di due. Segno che non c’è partita nemmeno interna allo schieramen­to di centrodest­ra: Zaia non è il candidato unico, ma proprio l’unico candidato. L’unico possibile, l’unico spendibile: intorno c’è il deserto. Come c’è dall’altra parte, nelle file dell’opposizion­e: dove il candidato del centrosini­stra, Lorenzoni, è sparito dai radar per due mesi, travolto anch’egli dall’onda della onnipresen­te comunicazi­one istituzion­ale, ricomparen­do solo ora, finito il lockdown. Mentre quello del Movimento 5 Stelle è un mero candidato di bandiera, e non c’è ancora traccia di un vero terzo polo.

Non c’è gara, non c’è partita. Dunque – anche se non sarà il gioco democratic­o, nella sua pienezza, ad essere giocato – non c’è e non ci sarà vera competizio­ne elettorale. Forse, davvero, tanto vale liberarsen­e subito. Via il dente, via il dolore…

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