Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Dalla boutique a domicilio al caffè «clandestino» tutte le aperture mascherate
Multati 400 negozi ma sono gli stessi clienti ad aggirare i divieti
«Mi ha mandato qui il mio capo», taglia corto Alice. Ha 23 anni, le sopracciglia curate e una mascherina calata sul volto. E sta spalmando una crema colorata sui capelli di una cliente. In giardino. «È un servizio a domicilio che facciamo già da alcune settimane. Mi fa comodo: la cassa integrazione non è ancora arrivata, almeno così guadagno quel che mi serve per arrivare a fine mese...». Sotto il gazebo della sua villetta, in zona San Vitale a Montecchio Maggiore, la signora gronda gratitudine: «Come si fa a rimanere due mesi senza parrucchiere?».
Quando dice che «in Veneto il lockdown è finito da un pezzo», forse neppure il governatore Luca Zaia immagina fino a che punto le sue parole riflettano la realtà. Per alcuni commercianti - anche se restano una minoranza, sia chiaro - i divieti sono un ostadine colo da aggirare.
Ieri il ministero dell’Interno ha diffuso i dati dei controlli agli esercizi commerciali. Dal 10 marzo a oggi, sono 416 i titolari denunciati per il mancato rispetto delle norme sulle chiusure imposte dal governo: 149 sono accusati d’aver violato «un provvedimento dato per ragione di sicurezza pubblica», 267 si ritrovano indagati per aver ignorato «il rispetto delle misure di contenimento». Nel mirino, baristi che servono caffè al bancone, negozi che vendono vestiti per adulti, estetiste che non rinunciano alle clienti... In 69 casi, è addirittura scattato l’or
”
In seguito alle violazioni, per 69 esercizi commerciali è scattato l’ordine di chiusura temporanea
di chiusura dell’attività.
Stando ai dati del governo, la terra dei «furbetti» sembra essere Verona, con 148 esercenti denunciati; quella più virtuosa è il Polesine dove le violazioni sono state appena sedici. Ma questa è la punta dell’iceberg. Di aneddoti come quello della parrucchiera vicentina spedita dal titolare direttamente a casa delle clienti, se ne sentono a vagonate.
A Padova abbiamo contattato una famosa boutique in zona Eremitani che a domicilio spedisce non solo l’abito, ma anche la commessa. Funziona così: la cliente sceglie il modello che preferisce scorrendo le foto sul profilo Instagram del negozio, telefona, e nel giro di poco si presenta un’addetta tenendo sottobraccio la merce. E fin qui funzionerebbe come un qualunque acquisto on-line. Ma una volta suonato il campanello, la commessa entra in casa e fa provare il capo. Se va bene, l’acquirente lo paga, altrimenti la commessa lo riporta al negozio. «Non si potrebbe – chiarisce Riccardo Capitanio, di Ascom Moda – si deve consegnare la merce restando al di fuori del cancello. E l’eventuale reso va effettuato solo attraverso corriere».
Sempre nella città del Santo un noto marchio sta utilizzando il proprio reparto di accessori per bambini come scusa per aprire l’intero negozio. Ma è un trucchetto piuttosto diffuso, a quanto pare: una volta dentro si è liberi di acquistare tutta la merce esposta, compresa naturalmente quella per adulti.
Anche a Verona già si respira aria di riapertura, e ieri alcuni commercianti di via Mazzini stavano sanificando i locali. «Il lavoro di commessa cambierà nel profondo», spiega la responsabile del punto vendita Carpisa. «Qua entreranno al massimo sei persone, quando prima arrivavamo anche a un centinaio. È chiaro che muterà l’approccio al cliente». Poco lontano, una ragazza ordina dello spritz e l’oste la serve senza battere ciglio. «Lo bevo a casa», dice alzando la voce. Ma più che una promessa, pare una battuta.
Perché sia chiaro: spesso a insistere per ottenere ciò che è ancora proibito, sono gli stessi clienti. Il 4 maggio, per molte persone, ha segnato uno spartiacque psicologico: c’è fretta di tornare alle vecchie abitudini, la fame di normalità si sazia anche sorseggiando clandestinamente un caffè al bancone o affondando il cucchiaino nel gelato quando ancora ci si trova in quella fantomatica «prossimità dell’esercizio commerciale».
A Venezia la polizia locale ha ricevuto diverse segnalazioni di avventori che sorseggiano vino e si abbuffano di tramezzini fuori dai locali di Fondamenta della Misericordia. Piccoli assembramenti, ieri, anche tra chi beveva lo spritz (servito nel bicchiere di cartone) in un bar in zona Piraghetto a Mestre, o in piazza Ferretto, dove il tavolino che l’oste ha sistemato all’ingresso con l’obiettivo di impedire l’accesso, è diventato il banco d’appoggio per l’aperitivo di quattro clienti. Il rischio di contagiarsi? Macché. «Noi veneti il virus lo anneghiamo». Cin cin.