Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Dalla boutique a domicilio al caffè «clandestin­o» tutte le aperture mascherate

Multati 400 negozi ma sono gli stessi clienti ad aggirare i divieti

- Andrea Priante Silvia Moranduzzo Giulia Busetto

«Mi ha mandato qui il mio capo», taglia corto Alice. Ha 23 anni, le sopraccigl­ia curate e una mascherina calata sul volto. E sta spalmando una crema colorata sui capelli di una cliente. In giardino. «È un servizio a domicilio che facciamo già da alcune settimane. Mi fa comodo: la cassa integrazio­ne non è ancora arrivata, almeno così guadagno quel che mi serve per arrivare a fine mese...». Sotto il gazebo della sua villetta, in zona San Vitale a Montecchio Maggiore, la signora gronda gratitudin­e: «Come si fa a rimanere due mesi senza parrucchie­re?».

Quando dice che «in Veneto il lockdown è finito da un pezzo», forse neppure il governator­e Luca Zaia immagina fino a che punto le sue parole riflettano la realtà. Per alcuni commercian­ti - anche se restano una minoranza, sia chiaro - i divieti sono un ostadine colo da aggirare.

Ieri il ministero dell’Interno ha diffuso i dati dei controlli agli esercizi commercial­i. Dal 10 marzo a oggi, sono 416 i titolari denunciati per il mancato rispetto delle norme sulle chiusure imposte dal governo: 149 sono accusati d’aver violato «un provvedime­nto dato per ragione di sicurezza pubblica», 267 si ritrovano indagati per aver ignorato «il rispetto delle misure di contenimen­to». Nel mirino, baristi che servono caffè al bancone, negozi che vendono vestiti per adulti, estetiste che non rinunciano alle clienti... In 69 casi, è addirittur­a scattato l’or

In seguito alle violazioni, per 69 esercizi commercial­i è scattato l’ordine di chiusura temporanea

di chiusura dell’attività.

Stando ai dati del governo, la terra dei «furbetti» sembra essere Verona, con 148 esercenti denunciati; quella più virtuosa è il Polesine dove le violazioni sono state appena sedici. Ma questa è la punta dell’iceberg. Di aneddoti come quello della parrucchie­ra vicentina spedita dal titolare direttamen­te a casa delle clienti, se ne sentono a vagonate.

A Padova abbiamo contattato una famosa boutique in zona Eremitani che a domicilio spedisce non solo l’abito, ma anche la commessa. Funziona così: la cliente sceglie il modello che preferisce scorrendo le foto sul profilo Instagram del negozio, telefona, e nel giro di poco si presenta un’addetta tenendo sottobracc­io la merce. E fin qui funzionere­bbe come un qualunque acquisto on-line. Ma una volta suonato il campanello, la commessa entra in casa e fa provare il capo. Se va bene, l’acquirente lo paga, altrimenti la commessa lo riporta al negozio. «Non si potrebbe – chiarisce Riccardo Capitanio, di Ascom Moda – si deve consegnare la merce restando al di fuori del cancello. E l’eventuale reso va effettuato solo attraverso corriere».

Sempre nella città del Santo un noto marchio sta utilizzand­o il proprio reparto di accessori per bambini come scusa per aprire l’intero negozio. Ma è un trucchetto piuttosto diffuso, a quanto pare: una volta dentro si è liberi di acquistare tutta la merce esposta, compresa naturalmen­te quella per adulti.

Anche a Verona già si respira aria di riapertura, e ieri alcuni commercian­ti di via Mazzini stavano sanificand­o i locali. «Il lavoro di commessa cambierà nel profondo», spiega la responsabi­le del punto vendita Carpisa. «Qua entreranno al massimo sei persone, quando prima arrivavamo anche a un centinaio. È chiaro che muterà l’approccio al cliente». Poco lontano, una ragazza ordina dello spritz e l’oste la serve senza battere ciglio. «Lo bevo a casa», dice alzando la voce. Ma più che una promessa, pare una battuta.

Perché sia chiaro: spesso a insistere per ottenere ciò che è ancora proibito, sono gli stessi clienti. Il 4 maggio, per molte persone, ha segnato uno spartiacqu­e psicologic­o: c’è fretta di tornare alle vecchie abitudini, la fame di normalità si sazia anche sorseggian­do clandestin­amente un caffè al bancone o affondando il cucchiaino nel gelato quando ancora ci si trova in quella fantomatic­a «prossimità dell’esercizio commercial­e».

A Venezia la polizia locale ha ricevuto diverse segnalazio­ni di avventori che sorseggian­o vino e si abbuffano di tramezzini fuori dai locali di Fondamenta della Misericord­ia. Piccoli assembrame­nti, ieri, anche tra chi beveva lo spritz (servito nel bicchiere di cartone) in un bar in zona Piraghetto a Mestre, o in piazza Ferretto, dove il tavolino che l’oste ha sistemato all’ingresso con l’obiettivo di impedire l’accesso, è diventato il banco d’appoggio per l’aperitivo di quattro clienti. Il rischio di contagiars­i? Macché. «Noi veneti il virus lo anneghiamo». Cin cin.

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