Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
DEMOGRAFIA PANDEMICA
Come sempre succede nella storia, alla pandemia vera e propria segue al galoppo una pandemia demografica. Che porta un segno più ed un segno meno. Il segno più è ovviamente quello dei decessi: diretti ma anche indiretti, dove anzi – proprio come in un iceberg in cui la parte sommersa è più grande di quella emersa – quelli indiretti (complicanze indotte dal virus o patologie non curate per timore del contagio) possono superare i primi. L’Istat ha calcolato che a marzo la mortalità – confrontata con quella media dei cinque anni prima - salta decisamente all’insù con un più 49 per cento, dopo che – ironia della demografia – gennaio e febbraio avevano registrato un buon calo della mortalità. Nel Nordest l’incremento dei decessi è a macchia di leopardo, oscillando tra il più 70 per cento dell’Emilia (tallonata dal Trentino) ed il più 10 per cento del Friuli, con il Veneto intermedio (più 24 per cento). Senza scomodare la lontana «Spagnola», già nel 1956 e nel 2015 vi sono stati eccezionali picchi di mortalità che, ancora una volta, falcidiarono i più anziani. Di sicuro il 2020 registrerà il terzo picco di mortalità dell’Italia repubblicana, anche se le sue dimensioni non sono certo oggi prevedibili.
Ed altrettanto sicuramente farà un passo indietro l’aspettativa di vita alla nascita, anche se imperscrutabile risulta – ad oggi – l’ampiezza di tale passo indietro che interrompe i nostri rassicuranti guadagni di longevità. Non si interromperà invece – a meno di eventi catastrofici degni di film distopici – il processo di invecchiamento, sia nella terza come nella quarta età. C’è poi, come si diceva, il segno meno. Che riguarderà le nascite, accentuando ed estremizzando quella denatalità che connota da tempo la demografia italiana. Le nascite sono il frutto di un complesso progetto di coppia che risente sia delle condizioni materiali ed economiche che delle incertezze e dei timori percepiti. Sappiamo che sia le prime come i secondi sono minacciati dalla pandemia. In particolare i livelli di disoccupazione e di precarietà lavorativa – l’esperienza della recente crisi finanziaria greca lo dimostra bene – si correlano al ridimensionamento delle nascite. Un ridimensionamento che naturalmente è in funzione sia della gravità che della durata della crisi occupazionale e che dovrebbe manifestarsi soprattutto il prossimo anno. Con il risultato di rafforzare ancora di più quel «degiovanimento» da culle vuote che rende squilibrata ed insostenibile la demografia italiana. Consola sapere però che la geodemografia del paese presenta un quadrilatero che resiste ed è più vitale in termine di nascite composto, oltre che da Trentino, Emilia e Veneto, anche dalla Lombardia. E’ da sperare che almeno questo quadrilatero continui a resistere all’incombente assalto della pandemia demografica.