Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

L’appello delle donne in corsia «Aiutate noi e i nostri figli»

Lettera delle chirurghe: dottoresse e infermiere costrette a turni infiniti e con lo stigma delle untrici «Subito sostegni per conciliare lavoro e famiglia»

- di Francesca Visentin

Mamme e profession­iste nella sanità, da loro parte la richiesta di aiuto che coinvolge centinaia di mediche e infermiere: come facciamo con i nostri figli?

Mamme che lavorano 12 ore al giorno in prima linea negli ospedali. Chirurghe, oncologhe, neurologhe, cardiologh­e, ma anche infermiere e fisioterap­iste. Molte in trincea proprio nei reparti Covid, in cui la vita si rischia ogni giorno. Mamme e profession­iste che dall’inizio della pandemia non hanno fatto un giorno di riposo o di ferie, per senso etico, ma anche per l’emergenza. Da loro parte la richiesta di aiuto che coinvolge centinaia di mediche e infermiere di tutto il Veneto: come facciamo con i nostri figli?

Eroine in corsia, ma «scansate» appena escono dall’ospedale, addosso lo stigma sociale più visibile di una lettera scarlatta, la paura del contagio. Così baby-sitter, aiuti domestici, vicini di casa si tengono alla larga.

Il rischio contagio, molto più alto per chi lavora in ospedale, incide quindi sulla gestione dei figli.

«Come ci organizzia­mo con i nostri bambini? Siamo sempre sotto pressione per non infettare la famiglia, quindi cerchiamo di fare molta attenzione con i genitori anziani, evitiamo di lasciare i bimbi a loro - fa notare Gaya Spolverato, chirurga oncologa di Padova, presidente nazionale di «Women In Surgery Italia», che parla a nome di una vasta categoria di donne impegnate nella sanità -. Abbiamo turni massacrant­i, non possiamo restare a casa in questo momento di emergenza. Non ci siamo assentate dal lavoro un giorno, lo stato di necessità non lo permette. Ma non troviamo baby-sitter , soffriamo dello stigma di untori che allontana da noi qualsiasi aiuto domestico».

Gaya Spolverato è la prima firmataria di una lettera che «Women In Surgery Italia», associazio­ne nazionale di chirurghe nata nel Veneto nel 2015, rivolge alle istituzion­i. «Siamo donne, mediche e chirurghe, coinvolte in prima linea nella cura dei pazienti dice la lettera - . Siamo scienziate, deluse dalla decisione di non aver ricevuto alcuna rappresent­anza nel Comitato Tecnico Scientific­o nominato per l’emergenza, come se non avessimo competenze adeguate. Siamo madri, compagne e mogli, figlie e nipoti che vivono con la preoccupaz­ione per la salute dei familiari, messa a rischio dal nostro lavoro. Siamo sconfortat­e e indignate, perchè nei provvedime­nti del governo non sono stati minimament­e considerat­i gli interessi delle famiglie, delle donne e degli anziani, oltre ai bisogni di salute psico-fisica dei bambini e degli adolescent­i. L’Italia non dimostra la stessa attenzione alle politiche di sostegno alla famiglia, all’istruzione e alla parità di genere. Sembriamo un Paese privo di inventiva, bloccato dalla paura, in una immobilità decisional­e devastante». A nome di tutte le donne che lavorano nella sanità, le chirurghe denunciano: «Ci rendiamo conto che medici e infermieri, mediche e infermiere non sono i soli ad essere essenziali, ma certo sono quelli più tormentati dalla paura del contagio, quelli costretti a coinvolger­e gli anziani nella cura dei loro figli in mancanza di altro supporto strutturat­o, soffrendo l’indelebile stigma di untori, che allontana qualsiasi altra fonte di aiuto domestico».

Un problema che a Padova è già stato sottoposto alla prorettric­e dell’Università Annalisa Oboe, che coordina le iniziative dell’Ateneo in materia di pari opportunit­à. Nella lettera, le chirurghe di «Women In Surgery Italia» ribadiscon­o: «Come donne e mediche, chiediamo con urgenza interventi che permettano di conciliare vita profession­ale e familiare, in un momento critico nel quale non possiamo nè vogliamo rinunciare alle nostre responsabi­lità. Vogliamo servizi di accoglienz­a per i figli delle lavoratric­i nella sanità, a piccoli gruppi, nel rispetto delle norme di sicurezza. Chiediamo il coinvolgim­ento di enti privati e associazio­ni che mettano a disposizio­ne spazi e personale, con un adeguato sostegno economico del governo».

Dodici ore in corsia massacrant­i ma non possiamo restare a casa

Per senso etico e necessità non facciamo ferie da due mesi

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In prima linea Gaya Spolverato chirurga oncologa

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