Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
È il primo in Italia. Medicinale anti-rigetto, può essere sperimentato anche con il Covid Al San Bortolo creato un farmaco da cellule del cordone ombelicale
Un farmaco naturale, un anti-infiammatorio senza rischi di rigetto da parte del corpo del paziente. Una medicina che trae origine dal momento più bello nella vita di una famiglia: la nascita di un bambino. Per la prima volta in Italia, nell’ospedale di Vicenza, è stato prodotto e utilizzato un farmaco derivante dalla moltiplicazione di cellule staminali di un cordone ombelicale. «È stato impiegato con un paziente malato di leucemia, in cui si era verificato il rigetto del trapianto di midollo. Con buoni risultati – specifica Marco Ruggeri, primario di Ematologia – questi farmaci contrastano le infiammazioni, stiamo lavorando ad un protocollo per usarli nei malati di Coronavirus».
La novità è stata presentata nella «Cell Factory» di Vicenza, un laboratorio di ricerca unico nel Triveneto finanziato da fondazione Cariverona: qui uno staff di sei biotecnologi da più di dieci anni lavora a questi sviluppi. L’anno scorso la struttura, guidata dal direttore Giuseppe Astori, ha ottenuto il via libera dall’Agenzia nazionale del farmaco per produrre e usare farmaci partendo dalle cellule dei cordoni ombelicali. «Ora raccogliamo il frutto di quel che abbiamo seminato per anni», osserva il dg dell’Usl 8 Giovanni Pavesi, che ieri ha presentato la novità con Ruggeri, Astori e gli specialisti Carlo Borghero e Francesca Elice. «Rispetto all’approccio tradizionale, cioè quello con staminali ricavate dal midollo osseo, usare il cordone ombelicale presenta vantaggi importanti – osserva Astori – il primo è che sono cellule molto sicure per il paziente: non c’è il rischio che vengano riconosciute come estranee dall’organismo». In circa la metà dei trapianti di midollo osseo si sviluppa una reazione di rigetto, con infiammazioni a volte molto gravi. Normalmente si curano con farmaci che però hanno effetti secondari non trascurabili. Le staminali da cordone ombelicale «sono così primitive, come tipo di cellule, da essere accettate dai pazienti senza rischio di rigetto. Spengono l’infiammazione e non sono tossiche» osserva Ruggeri. E poi c’è il secondo vantaggio: «Possiamo produrle utilizzando un materiale altrimenti di scarto» sintetizza Astori.
La produzione del farmaco nasce infatti dalla donazione dei cordoni da parte di madri che hanno appena partorito, nel reparto Ostetricia dell’ospedale di Arzignano, e prosegue nel reparto di Medicina Trasfusionale del San Bortolo dove si verificano le caratteristiche di sicurezza e idoneità di quanto raccolto. Le cellule vengono quindi isolate nella Cell Factory, raccolte in piastre speciali dove grazie a un processo controllato si moltiplicano: ci vuole un mese per portare le poche centinaia di cellule raccolte alla quantità giusta, perché per ogni dose di farmaco ne servono cento milioni. I quantitativi sufficienti, a processo concluso, vengono raccolti e conservati in contenitori specifici alla temperatura costante di meno 160 gradi. «Al momento di usarlo, il farmaco viene scongelato. È una sacca di liquido semi-trasparente: viene iniettato via flebo entro mezz’ora – riprende Ruggeri – la terapia prevede tre sacche alla settimana, per tre settimane. Con un singolo cordone donato è possibile curare tre pazienti». Il paziente oggetto di questa prima sperimentazione, un quarantenne vicentino colpito da una grave forma di rigetto post-trapianto, ha mostrato dei significativi segni di miglioramento. «La terapia è efficace anche su altri tipi di infiammazioni – conclude Ruggeri – non a caso, con una rete nazionale di laboratori e ospedali stiamo lavorando a un protocollo per usare queste sacche di staminali nei malati di Covid-19. Una prima attività è già stata provata, un mese fa a Verona».
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