Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Verona come il Mississippi Il blues di Lorenz Zadro
Esce il nuovo album, riassunto di 20 anni di carriera. «Non mi sento un isolato In questa regione c’è fermento attorno al genere. L’incontro con Leo Welch»
Lorenz Zadro è nato il 6 gennaio del 1985. Stesso giorno di Paolo Conte e Adriano Celentano, due big della musica legati a sonorità d’oltreoceano come il jazz e il rock ‘n’ roll. Il chitarrista veronese 35enne ha invece scelto la via del blues, dando alle stampe per l’etichetta Vrec l’ultimo «Blues Chameleon», riassunto di vent’anni di vita musicale, che comprende registrazioni tra il 2000 e il 2019 assieme ad artisti come Eddie Wilson e Leo «Bud» Welch, Sarasota Slim e Rowland Jones.
Un bluesman in terra veneta… non soffre di solitudine?
«Fortunatamente no, in Veneto c’è un vivace fermento attorno al blues. Probabilmente questo movimento è legato anche ad un forte passato che ha contribuito ad una solida formazione della generazione a seguire, che è poi la mia».
Che cosa ama di questo genere?
«Ho iniziato ad ascoltare musica e a suonare la chitarra all’età di sei anni, grazie a mio padre. Già dai primi ascolti ero attratto dalla sonorità delle “blue note” che più o meno consapevolmente cercavo e trovavo non solo nel blues ma anche in altri generi musicali.
Il blues è alla radice della musica moderna e il suo linguaggio lo si può trovare anche in contesti musicali differenti».
Ha ideato e fondato Blues Made In Italy a Cerea, Verona, che nel giro di qualche anno è diventato un punto di riferimento per il genere. Ce ne parla?
«Ho coinvolto fin dall’inizio tutte le realtà di settore presenti sul territorio, moltissimi musicisti e un buon numero di fedeli appassionati che ho conosciuto visitando i Blues
Festival italiani. Con tanto lavoro in questi anni si è costituita una solida rete. L’ultima edizione di Blues Made In Italy, la decima, l’abbiamo festeggiata, come ogni anno in Area Exp di Cerea, con la presenza sul palco di Eugenio Fi
nardi e un pubblico di seimila persone accorse da tutta Italia e anche dall’estero».
Si ricorda come è avvenuta la folgorazione per questo genere?
«La scintilla è avvenuta ascoltando “1928 Sessions” di “Mississippi” John Hurt».
Come è nata l’idea di un album come «Blues Chameleon»?
«Per tanti anni ho registrato le mie chitarre su dischi altrui e ora ho sentito la necessità di racchiudere moltissimi bei momenti ed esperienze vissute in un album, che sento rappresentarmi».
Nel disco ci sono brani in italiano e altri in inglese, oltre agli standard. Come mai questa eterogeneità?
«Musicalmente parlando, il blues ha il vantaggio di possedere un linguaggio universale, per questo mi sono permesso di puntare radar anche in direzioni diverse da quelle del blues propriamente detto. Con questa raccolta di canzoni ho cercato di avvalorare la tesi della duttilità di questo linguaggio sia a servizio di un brano in dodici battute in lingua inglese, o di un brano di cantautorato italiano».
Tra gli ospiti di questo disco spicca la leggenda Leo «Bud» Welch. Come vi siete incontrati?
«Ho conosciuto Leo “Bud” Welch nel 2013 durante un suo concerto a Clarksdale, Mississippi. Aveva 81 anni ed era appena stato pubblicato il suo primo album. Il suo incredibile entusiasmo sul palco, quando ormai aveva 86 anni, la sua semplicità e genuinità mi rimarranno impressi per tutta la vita».