Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Castro: «I cinesi? Manager non sempre adatti»
Il manager è stato richiamato a salvare la storica ex Zanussi
«Icinesi in Europa? In alcune situazioni hanno scontato l’inadeguatezza del management». Così Maurizio Castro, richiamato a salvare l’Acc di Mel.
BORGO VALBELLUNA Nel pieno della più grave turbolenza economica del secondo dopoguerra («Una vera e propria discesa nell’abisso», secondo sua definizione), si è ritrovato nuovamente commissario straordinario di Wanbao Acc, nata Zanussi nel mitico 1968. Una delle aziende-simbolo dell’industrializzazione in quest’angolo di mondo, che, quanto a turbolenze, nell’ultimo decennio ne ha sperimentate davvero di ogni sorta.
Maurizio Castro, non si è ancora stancato di fare il salvatore della patria?
«(sorride) È un’insopprimibile vocazione naturale. Sono cresciuto con i film western del lunedì sera in tivù, ho il mito della frontiera. In fondo, mi sento un eroe romantico».
Nominato commissario sotto effetto-Covid di un’azienda storica la cui proprietà, cinese, ha battuto in ritirata annunciando di voler licenziare tutti e dismettere la produzione: cosa poteva capitarle ancora?
«Diciamo che, facendo tutti gli scongiuri di questo mondo, finora mi ha risparmiato il virus. Per il resto, non mi sono fatto mancare nulla: qui facciamo compressori per frigoriferi, un settore che, a causa della pandemia, sta scivolando indietro del 30%».
Rispetto ai nostri rapporti commerciali e industriali con i cinesi, la vicenda Wanbao ci insegna che...?
«Io resto convinto che la Cina rimanga un partner interessante ma dobbiamo prendere atto di una cosa: la visione di Xi Jinping, che ha deciso di andare a costituire piattaforme cinesi in Europa, ha scontato l’inadeguatezza di un ceto manageriale non sempre adatto al compito. Alcune operazioni industriali, condotte non dal governo centrale ma da altre aziende pubbliche locali, hanno rivelato diverse criticità».
Come Wanbao, in ultima analisi.
«Detto fuori dai denti: a pochi chilometri da qui, nella zona industriale di Feltre, i cinesi di Midea Group hanno acquisito la Clivet (sistemi e impianti per la climatizzazione, ndr) e ne sento parlare soltanto bene. Qui, a Borgo Valbelluna, il management Wanbao ha sicuramente commesso alcuni errori di esecuzione. Dico di esecuzione, perché il piano originario presentato dal gruppo cinese era ineccepibile».
Il più grave tra questi errori?
«Sintetizzando, erano partiti per italianizzare i loro compressori e hanno finito per fare il contrario, cinesizzando la produzione. Non funzionava: dopo 5 anni di perdite a botte di 10 milioni l’anno, hanno gettato la spugna. Anche se, devo riconoscere, hanno fatto un gesto di eleganza, accompagnando l’azienda verso l’amministrazione straordinaria».
Recita il mandato del commissario: o trova un acquirente entro 12 mesi oppure riporta in bonis l’impresa in 24. Su quale opzione scommettiamo?
«Sinceramente, mi sembra più probabile la prima: rimettere il business in carreggiata per un forte investitore internazionale».
Internazionale per forza o anche interno?
«Non escludo che ci possa essere anche una soluzione italiana, magari attraverso un’alleanza tra i vari componentisti nazionali interessati al business del compressore di nuova generazione. Lo dico perché oggi il mercato è dominato da due marchi, cinese e giapponese, e i nostri clienti non sono così entusiasti del duopolio di fatto. Potrebbe esserci spazio per un terzo polo europeo, di qualità, da far nascere magari sullo slancio di volumi di produzione garantiti dai clienti stessi».
Una cordata locale?
«Per ruolo non escludo alcuna ipotesi. Diciamo che, ora come ora, la vedo meno probabile di altre soluzioni».
Uscendo dalla Valbelluna per avventurarci nel vasto mondo, che tipo di crisi abbiamo davanti?
«Non è più, come fu nel 2007-2010, una crisi finanziaria degenerata in industriale. Questa è una vera e propria crisi antropologica. Oggi sappiamo che il periodo della grande globalizzazione ha un inizio e una fine precisi: 9 novembre 1989, la caduta del Muro di Berlino, e 30 dicembre 2019, il primo paziente dichiarato infetto a Wuhan».
Questo significa, sul piano economico e industriale, che molte produzioni sono destinate a rientrare in Europa dal Far East?
«Io sono convinto di sì: sulla spinta del rischio di nuove epidemie, le attuali “piattaforme globali” verranno riconvertite in “piattaforme regionali” autonome. Assisteremo a un fenomeno di back shoring (il rientro nel Paese d’origine) delle produzioni oggi delocalizzate in Cina o in altre aree a basso costo, con la costituzione di catene della fornitura molto più corte. Questo comporterà come conseguenza che le nostre strutture industriali dovranno diventare più grandi per dimensione e più complesse nell’organizzazione».
Sta dicendo che il Covid-19 darà il definitivo colpo di grazia al «piccolo è bello»?
«Quel tipo di cultura industriale è destinata all’esaurimento».
” La crisi? Ora sappiamo che la globalizzazione ha avuto un inizio e una fine
” Credo che molte produzioni siano destinate a rientrare in Europa dal Far East