Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Sì all’aumento, Cattolica crolla in Borsa: -16%

Passa l’operazione da 500 milioni voluta da Ivass: azioni giù del 17%. Con Minali causa da 9,6 milioni

- Di Federico Nicoletti

VERONA Cattolica crolla in Borsa, dopo il sì della società all’aumento di capitale da 500 milioni voluto da Ivass, che spinge verso la spa.

VERONA Cattolica crolla in Borsa dopo il sì al diktat Ivass sull’aumento di capitale da 500 milioni. La giornata più nera, per la società assicurati­va veronese, dopo le indiscrezi­oni di sabato sulla durissima lettera dell’autorità di vigilanza assicurati­va che imponeva la maxi-ricapitali­zzazione entro il 30 settembre, è scattata subito, ieri mattina. E ha condotto alla fine il titolo a perdere il 16,89%, il calo di giornata più pesante di tutto il mercato, scendendo a 3,43 euro, dopo aver toccato il minimo storico di 3,3 euro. Tutto questo dopo che Cattolica con una nota, prima dell’apertura di Borsa, aveva confermato il contenuto della lettera Ivass filtrata sabato e ufficializ­zato l’esito del cda straordina­rio di domenica sera, con il sì alla richiesta di ricapitali­zzazione. «Il cda ha preso doverosame­nte atto delle indicazion­i - diceva la nota e ha dato mandato al management di preparare un piano nei tempi richiesti, al fine di rafforzare la solvibilit­à».

Un sì, quasi un «Obbedisco», non senza qualche distinguo in controluce. La nota rivendica l’aumento da 50 milioni già deciso su Bcc Vita, la joint venture con Iccrea e il piano allo studio per l’altra società con Banco Bpm, Vera Vita. Soprattutt­o rivela come nel cda del 22 maggio si fosse già discusso del piano di un aumento da 200 milioni, insieme ad altri 200 di bond convertibi­le, che avrebbero determinat­o «un’adeguata patrimonia­lizzazione, permettend­o di finalizzar­e le attività di M&A previste entro il 2021». Insomma, Cattolica si stava già muovendo e 200 milioni sarebbero bastati per mettersi in sicurezza e attendere la fine della tempesta Covid, e usare poi quel capitale, a quel punto in eccesso, per acquisizio­ni. Un modo, forse, per dire che il riferiment­o alle acquisizio­ni per giustifica­re la delega chiesta in assemblea era reale e non un modo per coprire altri problemi. E forse per far capire (oltre a dichiarare la dimensione ritenuta gestibile dell’operazione), che le richieste Ivass sono eccessive.

È toccato poi al direttore generale, Carlo Ferraresi, difendere la linea, in una lettera ai dipendenti: «Il nostro management - rivendica - fin dall’inizio della crisi Covid-19, ha tenuto attentamen­te monitorato solvibilit­à e liquidità del gruppo, in questo momento intorno al 130%» (il minimo richiesto è il 100%). E ancora: «La società mantiene robusti fondamenta­li, non ha mai avuto problemi di liquidità e lo stato attuale della Solvency non pregiudica la capacità industrial­e. Il capitale economico dell’azienda è intatto».

Ma la botta è enorme, soprattutt­o sul fronte della reputazion­e, di fronte alla linea dura di Ivass che chiede subito 500 milioni di ricapitali­zzazione, mettendo oltretutto in luce la rischiosit­à di una fetta rilevante di investimen­ti.

Senza contare l’altra tegola, quantifica­ta ieri dalla società in 9,6 milioni di euro, della causa civile intentata dall’ex amministra­tore delegato Alberto Minali davanti al tribunale delle imprese di Venezia, notificata venerdì in parallelo alle dimissioni dal cda. In sostanza, secondo quanto si riesce a ricostruir­e, nelle 130 pagine dell’atto di citazione firmato dall’avvocato Carlo Pavesi, il manager sostiene l’assenza di giusta causa nel ritiro delle deleghe di fine ottobre e chiederebb­e il pagamento dei 30 mesi di emolumenti fino alla scadenza naturale dell’incarico, nel 2022, dei bonus e del trattament­o di fine rapporto, con una quota, tra il 10 e il 20%, di danno reputazion­ale.

Così, mentre tornano a diffonders­i rumors sull’arrivo come amministra­tore delegato dell’ex manager di Generali e Itas, Raffaele Agrusti, per altro date come non realistich­e da fonti vicine alla società, l’attenzione si sposta a come Cattolica potrà eseguire l’aumento, verosimilm­ente tra agosto e settembre, visto che il piano arriverà entro fine luglio. Il cda dovrebbe iniziare a discuterne, in vista dell’assemblea del 27 giugno, il 4 giugno, insieme alla causa Minali.

Le condizioni di esecuzione appaiono improbe. Sul fronte degli attuali soci c’è da considerar­e il malumore per la diluizione sulle azioni. Facendo due conti a spanne, un aumento da 500 milioni ai prezzi d oggi, 3,4 euro, con 147 milioni di azioni nuove da emettere rispetto agli attuali 174, provochere­bbe una riduzione del patrimonio, per chi non investisse, del 46%. Che salirebbe quasi al 60% consideran­do uno sconto sul prezzo del 37% come quello applicato nell’ aumento di capitale del 2014, determinan­do così un prezzo vicino ai 2,2 euro e 227 milioni di nuove azioni da emettere.

Soprattutt­o il diktat Ivass fa rientrare dalla finestra in maniera drammatica, la questione della trasformaz­ione in spa di Cattolica. Condizione data per necessaria già a ottobre, nella discussion­e del progetto, poi accantonat­o, di un aumento, sempre sui 500 milioni, per la gara sulla bancassicu­razione di Ubi.

L’evoluzione dei fatti è tutta ancora da scrivere. Ma almeno in linea teorica è impossibil­e non vedere il precedente degli aumenti di capitale poi falliti di Bpvi e Veneto Banca. Dove la trasformaz­ione in spa era stata posta come condizione di chi garantiva l’acquisto delle azioni invendute. E nel caso di Cattolica basterebbe una quota rilevante, anche di minoranza, di azioni inoptate per cambiare radicalmen­te il comando e rendere contendibi­le la società.

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 ??  ?? Scontro IL presidente di Cattolica, Paolo Bedoni (a destra), con l’ex ad Minali, in un’assemblea
Scontro IL presidente di Cattolica, Paolo Bedoni (a destra), con l’ex ad Minali, in un’assemblea

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