Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Zaia: «Autonomia, ora la data»
Il governatore riapre il fronte e chiede di convocare i tavoli romani: «Si riparta prima della pausa estiva»
«Il coronavirus ha dimostrato cosa sanno fare le Regioni dell’autonomia». Luca Zaia annuncia che, continuando così l’andamento dei dati sanitari, è bene si metta mano al calendario per fissare la riapertura, quella del tavolo sull’autonomia. «Da governatori, dopo questa esperienza, arriviamo a trattare ancor più forti, la gestione della sanità in questi mesi spiega perché le catene di comando lunghe sono deleterie. Sfido chiunque, dopo il Covid, a dire che il Veneto non si merita l’autonomia».
Due anni e sette mesi abbondanti. Tanto è passato dal referendum sull’autonomia del Veneto. Se la pandemia del Covid-19 ha messo il tema sotto formaldeide per evidenti cambi di priorità, è pur vero che alla vigilia dell’emergenza sanitaria le sabbie mobili avevano già inghiottito buona parte delle 23 materie richieste dalla Regione. Negli ultimi punti stampa «emergenziali» la parola «autonomia» è rispuntata dopo una lunga assenza. Merito anche dell’intervento del capo dello Stato, Sergio Mattarella, che da tempo pare essere un sostenitore pacato ma non per questo meno autorevole della materia.
Presidente Zaia, arrivati a questo punto, quando si riunirà il tavolo sull’autonomia?
«Il lavoro, da parte della nostra delegazione trattante non si è mai fermato, in questi mesi si sono sviluppati alcuni temi ma rivendico la scelta di non averne più parlato nei mesi più duri dell’emergenza sanitaria. Ho avuto un sacco di pressioni da chi ci scriveva sostenendo persino che il virus era un diversivo per non parlare di autonomia. Ma sarebbe stato poco edificante sentirmi parlare di autonomia con la gente che moriva, o no?».
E adesso, invece?
«Adesso, non appena sarà chiusa l’emergenza, e mi auguro si parli di qualche settimana ma non è il caso di sbilanciarsi, spero prima della pausa estiva, i tavoli vanno riconvocati. Il problema, non mi stanco di ripeterlo, è che a Roma l’autonomia è percepita come perdita di potere, in Veneto come assunzione di responsabilità.
Colmata questa distanza l’autonomia la si porta a casa».
Visto che si parla di percezione, con il coronavirus è cambiato qualcosa per il Veneto «percepito» fuori dal Veneto?
«Altroché, il coronavirus ci ha cambiato da un punto di vista sanitario, ci ha fatto crescere dal punto di vista culturale e ha indubbiamente cambiato lo standing delle regioni. Il Veneto, poi, ne esce come una regione
che ha superato la maturità, ha conseguito una laurea e un master. Dopo questi mesi sarà difficile sostenere che il Veneto non si merita l’autonomia».
Altri territori avevano iniziato a chiedere di intraprendere un percorso simile dopo Veneto, Lombardia ed Emilia. Servirà quest’asse di ferro fra governatori in atto sul fronte dell’emergenza? «Come regioni ne usciamo
ancora più uniti di prima, e si partiva già da ottimi rapporti. No, non mi chieda se si sta creando un “partito dei governatori” perché non è così. Però l’emergenza, come accade in tutti i processi della vita, ci ha fatto unire ancora di più. Le giornate più torride ci hanno insegnato a confrontarci quotidianamente. “Dove compri le mascherine? Mi anticipi un po’ di camici finché non arrivano quelli che abbiamo ordinato? Quanti respiratori ti avanzano? Conversazioni di questo tenore, pratiche».
Chiedete insieme modifiche al Trasporto pubblico locale,lo farete anche per la riapertura delle scuole?
«Certo, siamo tutti d’accordo che mandare a scuola i bambini separati da box, divisi dal plexiglass e con la visiera creerebbe bimbi provati psicologicamente. Le Regioni scriveranno, anche in questo caso, linee guida alternative».
«Abbiamo una laurea in Covid, la prova superata dimostra che la strada è giusta»
Al tavolo ci si arriverà più forti o più deboli? Il tempo passa...
«Senza ombra di dubbio più forti. Il dossier è caldo. La sanità, la competenza più piena delle Regioni, è stata il vero banco di prova. Il coronavirus è stato il laboratorio dell’autonomia. Cito Ho Chi Minh: “Se ti entra una tigre in casa, per prima cosa apri la finestra, uscirà da sola”. Ecco, andrà così, chi non voleva vedere l’autonomia, ha visto le Regioni viverla. Francamente, prima del virus, non si capiva più nulla. Uno degli effetti della crisi sanitaria è che ci ha accreditato come soggetti in grado di gestire l’autonomia che abbiamo e ben oltre».
La Lega sovranista rischia il cortocircuito sul tema?
«No perché il taglio sovranista è più un’opzione comunicativa. La Lega della prima ora diceva “padroni a casa nostra”, una forma ante litteram del sovranismo vale a dire “a casa mia faccio quello che voglio, non accetto ingerenze esterne”. Alla Lega sovranista c’è chi attribuisce un’indole razzista a cui non aderirei mai. Infatti non c’è».
Si parla molto dei fondi europei, ad esempio per le infrastrutture, con l’autonomia si potrebbero valorizzare di più?
«Per forza. Perché ogni catena di comando che si allunga danneggia inevitabilmente il risultato. Abbiamo un bel programma di infrastrutture, penso all’ospedale di Padova che con lo schema del ponte Morandi in 4-5 anni sarebbe pronto. Questo Paese deve decidere se vuole stare dalla parte del Rinascimento o del Medioevo ma lo deve decidere subito perché il tempo è scaduto. La crisi economica creata dalla pandemia ci obbliga a guardare in faccia la realtà, o decidiamo di crescere come Paese o portiamo i libri in tribunale».
Il Veneto chiederà sempre 23 materie?
«Se continuano a farci attendere potrei chiederne anche qualcuna in più...».