Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

La Forza del Bene tra storie e visione

Aldo e Matteo, zio e nipote, entrambi designer, raccontano il nuovo mondo

- di Lisa Corva

Il coraggio dei bambini, e di chi salverà la loro estate. Le visioni di Matteo e Aldo Cibic, zio e nipote designer, sul mondo che verrà. La fantasia delle cantine, che si inventano il picnic in vigna . La creatività dello street food, che punta su panini local. Tutto questo nello speciale La Forza del Bene.

Che cosa fa un designer chiuso a casa durante il lockdown? Immagina, e progetta, il futuro. Così hanno fatto anche Aldo e Matteo Cibic, zio e nipote, famiglia iper-creativa, due nomi famosi in tutto il mondo, ma profondame­nte legati al Nord Est. Tanto che entrambi vivono a Vicenza.

Partiamo da Matteo, anche perché è proprio dal lockdown che è nata la sua ultima collezione, chiamata ironicamen­te ma non troppo Cov: divisori Covid. «Io preferisco chiamarli “social tools”, strumenti di socializza­zione», dice. «Un paradosso, ma in realtà è la prima volta che un muro serve a socializza­re: in genere si creano barriere proprio per impedirlo».

In plexiglas e alluminio, quasi dei ventagli orientali, i Cov sono prodotti da un’azienda di Bassano del Grappa, FusinaLab (nel box). E sono già «in azione» dentro ristoranti — tra cui El

Coq del giovane chef stellato Lorenzo Cogo, proprio a Vicenza — ma anche alberghi, e spazi di coworking. Esatto, coworking: perché nei lunghi mesi in cui abbiamo, tutti, lavorato da casa, abbiamo capito che andare in ufficio non è indispensa­bile. Da qui l’idea, lanciata da molti teorici dell’abitare, di pensare non solo a “home office” nelle nostre case, ma anche a coworking condominia­li. Spazi comuni per lavorare, per evitare viaggi e pendolaris­mo. Aggiunge Matteo: «Poter creare un angolo di “home office” dentro casa è indispensa­bile. Almeno un pannello per isolarsi e per avere un po’ di scenografi­a per le video-call ormai quotidiane… Per questo per FusinaLab ho progettato anche dei separé fonoassorb­enti».

Creare in emergenza, ma creare il bello. Il design ci salverà? «Diciamo che mi sembra molto interessan­te, ora, non solo progettare, ma ripensare alla filiera. Nel design, e nella moda, in Italia, è importante concentrar­si su una filiera sempre più corta, e su una distribuzi­one più diretta. La nostra collezione Cov, ad esempio, sarà sì alla Rinascente di Milano, ma si potrà comprare sia dal mio sito — matteocibi­cstudio.com — che da quello dell’azienda produttric­e». Il design non si ferma, anzi. «Penso che anzi ci sarà una grande ricchezza di idee, ma “virtuali”: che poi verranno, come i nostri Cov, anche prodotte “bespoke”, su richiesta. Lotti minori, ma super-targettizz­ati, pensati su misura per il committent­e. Interessan­te, anche dal punto di vista della sostenibil­ità».

Lei è nato a Parma, è cresciuto tra Treviso e Venezia, ha vissuto e lavorato all’estero, per poi trasferirs­i a Vicenza, dove si erano nel frattempo spostati i suoi genitori, con moglie e due bimbi piccoli.

Ci vuole raccontare un suo luogo del cuore in città? «È una scoperta recentissi­ma. La Busa de Giaretta, ovvero il lago di Camazzole, un bellissimo lago artificial­e a venti minuti da casa. Ci sono capitato l’altra sera: dopo la tempesta il cielo si è aperto, e sembrava di essere a Vancouver Island: natura, natura! Ho scoperto che da lì parte una pista ciclabile che costeggia il Brenta, e che sarà una delle mie prossime destinazio­ni. Perché il virus ci ha insegnato a guardare con occhi diversi, ed amare, il verde in città e subito fuori: anche questo è il “turismo di prossimità”».

Già, il verde. Se la pandemia ha decretato, nell’abitare, la fine della cabina armadio e del loft (perché abbiamo bisogno di spazi privati e porte da chiudere), la rivalutazi­one dell’ingresso (in cui potersi togliere le scarpe e gli abiti, su ispirazion­e giapponese), la vera scoperta è stata la fame di luce naturale e di verde.

Un giardino, una terrazza, magari anche solo un balcone. In città è difficile, vero, ma potremmo far nostra la proposta di Alan Maskin, dello studio di architettu­ra Olson Kundig di Seattle:

«Saliamo sui tetti. Uno “strato urbano” per ora sottoutili­zzato: i “rooftops”. Che potrebbero invece diventare orti e giardini, pubblici e interconne­ssi da un sistema di ponti. Anche per un’agricoltur­a davvero sostenibil­e, a chilometro zero».

Verde dunque, dentro e fuori… Le città del futuro saranno davvero più green? L’abbiamo chiesto ad Aldo Cibic, che con Sottsass è stato tra i fondatori, nel 1980, del mitico gruppo Memphis. «Più che al verde, quello su cui la pandemia ci ha fatto riflettere è la densità: e l’angoscia per l’affollamen­to ce la porteremo dentro ancora per un po’», riflette. «Ripetiamo da anni che entro il 2050 il 75% della popolazion­e mondiale vivrà nelle megalopoli: forse è il caso di ripensare questo paradigma. E progettare comunità diverse. E sì, lo dico proprio io, che fino all’inizio della pandemia vivevo tra Shanghai e Milano, passando per Vicenza. Ora, casomai, penso all’altopiano di Asiago: ossigeno e biodiversi­tà incredibil­e, a soli 50 minuti dal centro di Vicenza e da un treno veloce».

Addio Shanghai, benvenuta montagna di Asiago? Ride: «In Cina tornerò, ovviamente, anche perché insegno alla Tongji University e perché, insieme al preside, Lou Yongqi, stiamo lavorando a un progetto in cui credo molto. Si chiama Design Harvest 2.0, ed è una “community of purpose” a 45 minuti dal centro di Shanghai.

Sono temi su cui Aldo Cibic sta riflettend­o da tempo, tanto che ha presentato alla Biennale di Venezia del 2010, diretta dall’archistar Kazuyo Sejima, il suo Rethinking

Happiness. Un titolo che è una speranza: ripensare la felicità è diventato poi un libro, per Corraini Editori, con quattro esempi progettual­i che affrontano il tema delle nuove comunità possibili. Sono passati dieci anni, e

la Biennale Architettu­ra

di quest’estate, spostata al 2021 causa Covid, ha un titolo davvero adatto a questo momento storico: «How will we live together»?, come vivremo assieme. Sì alla sperimenta­zione, dunque. Ci piace la nuova comunità digitale e rurale che, chissà, magari si potrà importare anche ad Asiago, e in tutta Italia!

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In famiglia Matteo e Aldo Cibic, uno designer e l’altro architetto
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Matteo L’ultima collezione, Cov, in plexiglas, è nata proprio dal lockdown (foto Rodolfo Hernandez)
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Progettare comunità diverse, Questo il campo di lavoro da anni dell’architetto di Schio
Aldo Progettare comunità diverse, Questo il campo di lavoro da anni dell’architetto di Schio

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