Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Protezione civile, Garbin se ne va «Serve maggior coordinamento»
VICENZA Un corso obbligatorio di Protezione civile per i sindaci «non appena li eleggono, perché anche se non lo sanno la responsabilità è loro e in galera ci vanno loro». E poi tanta, tanta attività di prevenzione e formazione anche alle persone normali, «perché la Protezione civile siamo tutti noi, i cittadini». Sono gli appelli alla politica che il responsabile provinciale vicentino del settore, Chiara Garbin, fa proprio nel momento in cui, dopo oltre 15 anni, cambia di ruolo. Il volto e la voce che tutti gli amministratori, in caso di frane e allagamenti, si sono abituati a sentire dall’1 luglio si occuperà per la Regione di turismo: «Ho scritto una lettera a sindaci e volontari, ringraziandoli. Ma spero che il mio sia solo un “arrivederci”».
Chiara Garbin, come è andata nei tre mesi dell’emergenza Covid?
«La Provincia ha costituito una sala operativa Sop, diventando cabina di regia per
114 Comuni. All’interno c’ero io coadiuvata da
4 o 5 persone, e ci rapportavamo con i cittadini e i sindaci: picchi di 500 telefonate al giorno. I 1.700 volontari hanno distribuito farmaci, alimenti, mascherine e dispositivi di protezione, pure materiali didattici agli studenti che non potevano uscire. È stata un’emergenza diversa da tutte le altre, perché molto prolungata nel tempo e perché tutto il territorio era coinvolto».
Da quanto tempo si occupa di questo settore?
«Sono in questo ufficio dal 2005, dal 2014 come responsabile. Ma già nel 2000, quando ero dipendente comunale, ero parto del gruppo comunale di volontari».
Come andò in Abruzzo, nel 2009?
«Da Vicenza partimmo in più di 80 . Un’esperienza forte, tra l’impossibilità di lavarsi per una settimana e l’aiuto da dare alla popolazione: l’acqua che mancava alle mamme che dovevano allattare, gli anziani che rifiutavano di abbandonare le case. Anche l’anno dopo con l’alluvione a Vicenza fu un’esperienza importante: viaggiavo con gli stivaloni, per tre o quattro giorni non tornai a casa. E in quei momenti ho iniziato a capire quali sono gli aspetti che si possono migliorare».
Cioè?
«La necessità di creare un sistema di prevenzione. Stabilire protocolli operativi, fare i censimenti dei mezzi a disposizione, formare i sindaci che molto spesso non conoscono le proprie prerogative, creare collegamenti fra i gruppi di volontari. Sono cose che si fanno in tempo di pace, non in “guerra”».
Nel 2018 c’è stata Vaia, ora il Covid. La Protezione Civile è migliorata?
«Anche con Vaia è stato complesso: niente collegamenti per dieci giorni, mancavano le linee elettriche, paesi come Posina completamente isolati. Per fortuna i contatti li hanno garantiti i radioamatori. E nel coordinamento dei volontari, sì, c’è stato un grande miglioramento: dal 2015 sono riuniti in dieci distretti e c’è una “consulta” che li fa dialogare».
E per il resto?
«Per il resto la tendenza della politica è, purtroppo, di reagire all’emergenza ma di non programmare nell’ordinarietà. Nella Protezione civile lascio il mio cuore e spero di tornarci, ma con dei progetti approvati e non da semplice dipendente: serve più coordinamento e coinvolgimento fra la Regione, da cui dipende quest’ambito, e la Provincia, a cui è stato delegato».