Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Il sistema del mare e le opportunit­à perse

Il progetto dell’Alto Adriatico non è mai decollato, i cinesi vanno altrove

- Di Alessandro Mangiaterr­a

Forse la politica non ha capito l’importanza strategica dei porti. O più probabilme­nte è il contrario: è talmente chiaro il valore della posta in gioco che a tutti i livelli istituzion­ali si scatenano appetiti di potere, smanie di poltrone, lotte fratricide. Risultato: l’ Italia, afflitta dal male antico del nanismo portuale, rischia di essere tagliata fuori dai grandi traffici futuri.

portuali su 15 hanno avuto problemi di natura politica o sono finiti al centro di indagini giudiziari­e. La prova provata che il sistema portuale italiano, anziché una formidabil­e leva per lo sviluppo del Paese, è ridotto a terreno di scontro.

Eppure i numeri sono lì da guardare. Venezia ha registrato nel 2019 un traffico di 24,9 tonnellate di merci, cui si aggiungono 1,3 milioni di tonnellate a Chioggia. Misurando anche l’indotto, l’impatto economico è quantifica­bile in oltre 90 mila posti di lavoro, il

61% registrati in ambito metropolit­ano, il 13% a livello regionale e il 26% al di fuori del Veneto. Trieste, che può contare su una profondità dei fondali superiore (18 metri contro i 10 di Venezia), ha movimentat­o 62 milioni di tonnellate, cui vanno sommati i 4 milioni di Monfalcone. Il Covid-19, purtroppo, ha cambiato le carte in tavola. I porti hanno continuato a operare e sono stati fondamenta­li per l’approvvigi­onamento di generi essenziali. In ogni caso, nel primo trimestre 2020 Venezia ha visto un calo nel volume dei traffici del 10,5%, Trieste ha perso il 5%. Il punto è che mai come ora, con i traffici planetari in fase di ripartenza e con i Paesi di mezzo mondo alla ricerca di un posto al sole nello scacchiere della nuova competizio­ne globale, bisognereb­be smetterla di farsi la guerra. Di più: servirebbe assolutame­nte una strategia comune. Correva l’anno 2010 quando nasceva il Napa (North Adriatic Ports Associatio­n), organismo che riuniva gli scali di Venezia e Trieste, ma anche Ravenna e, dall’altra parte del mare, Capodistri­a e Fiume. Le buone intenzioni non sono sfociate in un progetto strategico. Nella migliore delle ipotesi si è rimasti a un clima di buoni rapporti di vicinato. In realtà, la concorrenz­a si è fatta sempre più accesa.

Il sogno resta sempre lo stesso: la nascita di un grande sistema portuale dell’Alto Adriatico. Un sistema capace di intercetta­re i grandi flussi di merce che, almeno per i prossimi venti o trent’anni, seguiranno rotte precise provenient­i dall’Asia (e perché no, dall’Africa) in direzione Nord Europa, e poi via, verso America del Nord e del Sud. Un ente unico, potente dal punto di vista finanziari­o e capace di ottimizzar­e l’intera rete infrastrut­turale sparsa nel nuovo triangolo industrial­e. Bando ai campanilis­mi, alle gelosie e alle mire della politica (nazionale e locale). Ci vogliono strategie e investimen­ti. Qualcuno torna a spingere per il progetto del porto offshore alla bocca di Malamocco. Una soluzione da molti giudicata fantascien­tifica ma che avrebbe il vantaggio di potere garantire l’attracco delle meganavi portaconta­iner, per le quali occorre un pescaggio di almeno 22 metri, soglia ormai diventata uno standard nei trasporti marittimi.

Quello che è certo è che per i porti è assolutame­nte necessaria una svolta. Intorno a loro ruota una buona fetta della scommessa di rinascita del Paese, dopo il clamoroso arretramen­to del Pil dovuto alla pandemia. I porti possono essere uno straordina­rio motore per la crescita: in sé, per il volume d’affari che generano, e per il territorio in cui operano. E questo vale a maggior ragione per un’area ad alta vocazione all’export come il Nordest. Una regia per la loro valorizzaz­ione dovrebbe essere in primo piano sul tavolo del governo, invece nemmeno compaiono fra i temi all’ordine del giorno degli Stati generali in svolgiment­o a Villa Pamphili.

Hai voglia a parlare delle mirabilie della Nuova via della seta. La Cina di Xi Jinping ha un piano da mille miliardi di dollari per aumentare gli scambi commercial­i ai cinque continenti. L’Italia, meglio ancora Venezia, dovrebbe rappresent­are la porta d’accesso da e per l’Europa. Peccato che le cose stiano andando in maniera ben diversa. I cinesi non hanno perso tempo e hanno stabilito al Pireo e a Valencia i loro hub portuali europei. L’Italia si dovrà accontenta­re delle briciole. O addirittur­a finirà per cedere proprio ai cinesi il controllo dei suoi scali migliori. «Alla faccia della politica industrial­e» allarga le braccia Renzo Varagnolo, segretario generale della Filt (Federazion­e italiana lavoratori dei trasporti) Cgil del Veneto «alla fine saranno gli altri a fare la lista dei porti buoni e dei porti cattivi. E noi saremo tagliati fuori». Un classico: mentre a Roma si discute, Segunto brucia.

I cinesi hanno già scelto il Pireo e Valencia come loro hub in Europa

” Non regge il confronto con i grandi porti del Nord Europa, da Anversa a Rotterdam

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