Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Zonin: non c’è prova che sapessi delle baciate

L’accusa a Bankitalia: «Gli ispettori non le videro. Come potevo farlo io?»

- Nicoletti

VICENZA «Non è emersa una sola prova sulla mia conoscenza delle baciate». È il passaggio centrale della memoria che l’ex presidente di Bpvi, Gianni Zonin, ha letto ieri in aula al processo per il crac della banca, nel corso di un’ora di dichiarazi­oni spontanee. Passaggio atteso, la prima volta che l’ex uomo forte di Bpvi parlava al processo. Zonin ha di fatto addossato la responsabi­lità del crollo finale a Bce, al decreto Renzi sulle popolari e all’ex ad Francesco Iorio e ai suoi manager. E ha rivendicat­o di essersi sempre mosso in accordo con Banca d'Italia.

VICENZA «Sono stato presente a quasi tutte le udienze. Non credo sia azzardato affermare che non è emersa una sola prova che attesti la mia conoscenza delle baciate prima del maggio 2015». Sono le 12.45, ieri, in tribunale a Vicenza, al processo per il crac della Popolare di Vicenza, quando Gianni Zonin inizia a parlare. Mascherina verde, l’ex presidente si avvicina al microfono ed apre una cartellina azzurra. Dentro un testo di 65 pagine: le sue dichiarazi­oni spontanee.

A un anno dall’inizio del processo, la prima volta che il presidente che per vent’anni ha avuto in mano Bpvi, parla al processo. Probabilme­nte l’ultima. «Voglio chiarire perché ho preferito avvalermi della facoltà di non rispondere», esordisce. L’ex presidente rimanda ai tre interrogat­ori del 2017: «Sono trascorsi quasi cinque anni da quando ho lasciato la presidenza e circa otto dai fatti - sostiene -. Sia per il tempo trascorso che per ragioni di età (ho compiuto a gennaio 82 anni), non potrei rispondere con esattezza, precisione e in modo esaustivo».

In realtà il presidente monopolizz­a la scena per un’ora e dieci minuti. E ne ha per tutti, prima di esser fermato dal tribunale che lo rimanda, per le conclusion­i, all’udienza di domani. Zonin addita come veri colpevoli del crollo finale di Bpvi, Bce, con le sue nuove regole «destinate a provocare effetti devastanti sulle popolari», il decreto Renzi, con il passaggio a spa, «che ha cancellato le popolari», e l’ultimo ad, Francesco Iorio, con la sua squadra: «Scientemen­te, o per incapacità, hanno posto in atto misure che hanno condotto la banca al definitivo tracollo». Zonin parla di «fuga in massa di soci e correntist­i». L’accusa è di non aver immaginato una ricapitali­zzazione, dopo il miliardo di «baciate» scoperto, con la vendita di partecipaz­ioni, da Cattolica ad Arca. «Neanche si è pensato seriamente alla dismission­e del consistent­e patrimonio immobiliar­e - sostiene Zonin -. Cattolica aveva espresso il suo interesse, con l’ad Mazzucchel­li: i tentativi di contatto con Iorio furono ignorati».

Zonin arriva al punto finale, che riguarda anche Veneto Banca: «C’era un piano preordinat­o per la fine dei due istituti bancari veneti?». Con un giro di parole la risposta è di fatto sì: «A pensar male - continua l’ex presidente - si fa peccato ma spesso si indovina, diceva Andreotti. Un legittimo sospetto resta».

Il succo sul processo sta però alla fine. Zonin lo dirà domani. Ma la memoria è depositata e va letta lì, dopo una prima parte che ricostruis­ce la cavalcata epica, senza ombre o punti deboli, dello sviluppo di Bpvi. Secondo

il mantra «Crescita e difesa dell’autonomia». Con cui Zonin spiega, per la prima volta, anche la cacciata del direttore generale Luciano Colombini, ora in Banca Ifis, nel 2007: «Aveva un’idea diversa su come crescere: portare Bpvi a integrarsi nella Popolare di Verona, rinunciand­o all’autonomia».

E sulla sostanza del processo, ovvero se lui fosse parte o per lo meno sapesse delle «baciate», la linea di Zonin è ferrea. «Niente di illecito ho commesso», sostiene il presidente. E nel merito delle accuse: «Non vi è un dipendente Bpvi, fra tutti quelli sentiti, che abbia confermato che conoscevo il fenomeno». E, una volta emerso, «mi sono doverosame­nte attivato». Falso che lui sapesse, come lasciava intendere il dg Samuele Sorato. Falso che nelle cene, come in quella degli spiedi di Villa Malinverni, se ne parlasse; e i Loison, da cui sono venute accuse, «li conoscevo appena». Alla fine non restano che la segnalazio­ne del socio Maurizio Dalla Grana all’assemblea 2014 e la lettera di dimissioni del dipendente Villa. Troppo poco, per Zonin.

Che invece punta su un altro elemento fondamenta­le: l’essersi sempre mosso in accordo con Banca d’Italia. Di cui ricorda di aver conosciuto quattro governator­i - Ciampi, Fazio, Draghi e Visco - e i capi della vigilanza - Bianchi, Tarantola e Barbagallo -. Conoscenza profonda, rilevante su più piani. Intanto sulle fusioni. «Mai mi sono mosso senza un preventivo assenso di Banca d’Italia - ha sostenuto l’ex presidente -. Solo chi non conosce il sistema bancario può pensare che in assenza di placet di Banca d’Italia si potessero realizzare fusioni o anche solo avviare trattative».

Vale per la mossa di Bpvi su Veneto Banca, a fine 2013, «trattative avviate su indicazion­e precisa di Banca d’Italia». E Zonin aggiunge: «Ricordo l’incontro a Roma a fine dicembre con il governator­e Visco e il capo vigilanza Barbagallo. Due ore e mezza in cui mi fu dato esplicitam­ente l’input di incontrarm­i con Veneto Banca per procedere alla fusione». Il pranzo di Aquileia che non approda a nulla. Ma poi ancora Etruria. E questo perché, dice Zonin, «almeno fino all’estate 2014 Banca d’Italia considerav­a Bpvi solida e con un ruolo aggregante».

Rilevante, il rapporto con Via Nazionale, anche in un altro senso: i dirigenti di Bankitalia approdati in Bpvi. Come Gianandrea Falchi, «portavoce del governator­e Mario Draghi, poi presidente Bce». Niente porte girevoli, sostiene Zonin, ma solo l’ingresso di un dirigente di fronte ai timori del passaggio della vigilanza da Bankitalia a Bce: «Sorato non si mostrò entusiasta, probabilme­nte perché temeva una possibile cooptazion­e di Falchi in cda e una sua nomina a consiglier­e delegato».

Rilevante, il rapporto con Banca d’Italia, soprattutt­o sul fronte vigilanza. Dice Zonin: «Le ispezioni costituiva­no per il cda e me motivo di tranquilli­tà sulla correttezz­a della gestione». L’ex presidente arriva all’ispezione sui crediti del 2012, chiusa senza sanzioni a cda e dirigenti. E fa un passo in più. Con la deposizion­e dell’ex vicedirett­ore Paolo Marin, per Zonin è «incontesta­bile che gli ispettori avessero un quadro dettagliat­o del capitale finanziato». Ma a lui e al cda non furono fatte comunicazi­oni: «Con una contestazi­one formale sull’illegittim­ità, il cda si sarebbe attivato». Non arrivò. E Zonin definisce «singolare» che ora gli ispettori dicano che «il fenomeno non poteva essere compreso nella sua reale entità». Ovvia la domanda dell’ex presidente: «Se fosse vero, mi chiedo come il sottoscrit­to, imprendito­re agricolo» potesse capire «un fenomeno che un collaudato team di Banca d’Italia aveva considerat­o perfettame­nte lecito».

Ci fu un piano per far saltare le due banche venete? Il sospetto resta

La fusione con Veneto Banca mi fu indicata da Visco e Barbagallo

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Zonin, al processo per il crac della banca.
Ieri ha parlato per la prima volta con una dichiarazi­one spontanea di un’ora
La versione L’ex presidente di Bpvi, Gianni Zonin, al processo per il crac della banca. Ieri ha parlato per la prima volta con una dichiarazi­one spontanea di un’ora

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