Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Mose, Conte per l’evento «Niente buffet»
Il consulente Benini: «Potrebbero essere di più. E non si dica non è colpa di nessuno»
In prima fila ci saranno il ministro Paola De Micheli, il super-commissario del Mose Elisabetta Spitz e il provveditore alle opere pubbliche Cinzia Zincone. E ora i rumors dicono che al test del Mose, potrebbe arrivare perfino il premier Giuseppe Conte. Ma senza buffet.
VENEZIA Il tema esce dall’oblio dei tecnicismi di rado ma sempre, va detto, in modo eclatante. Parliamo dei derivati, «prodotti finanziari» in molti casi più simili a un tiro di dadi che a un investimento dal rischio calcolato. La regione che detiene il primato è il Veneto con 16 enti. E non è detto la lista sia completa, segnalano gli esperti. La nota integrativa ai bilanci a volte non contempla la specifica. Anche se dovrebbe. Il tema torna d’attualità per una sentenza della Cassazione del
12 maggio che li dichiara «nulli». Partendo dall’alto, la Regione Veneto ha sempre difeso le sue scelte finanziarie utilizzando sempre la stessa metafora: «il giardinetto finanziario». All’indomani dell’analisi puntuale della Corte dei Conti che non manca di citare il capitolo derivati, il governatore Luca Zaia, lo scorso anno dichiarava: «Nel nostro giardinetto di indebitamento abbiamo fatto un mix equilibrato, siamo la Regione italiana con il minor tasso di indebitamento, pari a poco più del 2%. Per i derivati il cui peso è indicato dalla Corte in 50 milioni l’anno va ricordato che, quando i tassi di mercato sono bassi, i derivati pesano negativamente, ma quando i tassi si alzano il peso è positivo». Palazzo Balbi, prima della crisi finanziaria del
2008, cavalcando i tassi favorevoli, aveva puntato tutto sul variabile. Annusando il trend di crescita già nel 2006, sceglieva di ridurre al 55% questo comparto per convertire un altro 25% in tasso fisso e il resto in derivati. Il parere del Collegio dei Revisori della Regione al bilancio di previsione 20192021, certifica che i derivati ancora in essere sono due, uno spalmato sul periodo
2006-2036 del valore residuo a fine 2017 di quasi 108 milioni e uno (2006-2026) di un valore equivalente. Se i Comuni di Treviso, Belluno e Vicenza, non ne hanno alcuno, Venezia ne ha due con scadenza 2026 e
2037. «Il Comune oggi ha in piedi due derivati - spiega Ca’ Farsetti -. Il primo, che è un derivato complesso, è stato oggetto di una causa avviata nel 2010 e per la quale nel 2018 si è sottoscritta una transazione. Il secondo, di tipo collar, è oggetto di una causa avviata nel 2019 prima della sentenza della Cassazione che quindi non è direttamente applicabile al nostro caso». Come dire che margini per uscirne in anticipo non ce ne sono. A Verona, uno dei Comuni che più ha fatto ricorso a questo strumento, al momento è in essere una sola operazione di finanza derivata. Un prestito obbligazionario di oltre 256 milioni del tipo bullet (rimborso totale del prestito alla scadenza) per una durata di 20 anni (fino al 2026). Si sono protratte per anni le analisi e le verifiche che hanno portato nel 2014 a un accordo transattivo con Merril Lynch. Padova, dal canto suo, ha un mutuo strutturato con un sottostante derivato del 2004 a oggi pendente per circa 20 milioni. «La giunta - spiegano da palazzo Moroni - ha recentemente dato mandato per un approfondimento legale» nell’ottica di valutare tutte le azioni che possano portare a un risparmio per l’ente». Persino la piccola Rovigo ha un derivato che, secondo l’analisi del consigliere comunale 5s Mattia Maniezzo, porterà, entro fine
2025 a perdite stimate per 2,8 milioni. Di fatto, dal 2007 al
2019, si sono incassati 348 mila euro e ne sono stati pagati
1.548. Parla di «perdite colossali soprattutto nel decennio scorso» Nicola Benini, consulente finanziario indipendente di Ifa Consulting, fra i massimi esperti del settore e consulente tecnico del tribunale in ambito bancario finanziario. «La grande maggioranza dei contratti ormai è già estinta o transata con le controparti, infatti i dati di Bankitalia (riferiti alle sole banche italiane) limitano a 16 le posizioni ancora aperte in Veneto - spiega Benini - anche se, storicamente, c’è stata una grande carenza informativa nei bilanci pubblici come confermato anche dalla Corte dei Conti. C’è ancora chi giustifica con le classiche obiezioni banali ovvero che le perdite sono ascrivibili al ribasso dei tassi ma qui non stiamo parlando di questo. Quando sono stati venduti persino contratti di opzione si capisce subito che parliamo di speculazione. La causa remota di tutto ciò è l’analfabetismo finanziario e la carenza di istruzione e cultura finanziaria. Su questo fronte l’Italia è dietro al Senegal, allo Zimbabwe,al Camerum. Gli esempi sarebbero numerosi e il caso delle ex Popolari venete è da manuale. Ancora oggi non si comunicano la stima del rischio e i costi nei prodotti». Ora resta da capire se e quanti dei derivati veneti potranno essere annullati perché, dice la Cassazione, non avrebbero neppure dovuto essere sottoscritti.