Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

AUTONOMIA E USO RETORICO

- di Stefano Allievi

L’autonomia è tutto: la risposta ad ogni quesito, la soluzione per qualsiasi problema. Come certi medicinali miracolosi, rimedi universali, o panacee da mercato popolare. La virtù magica dell’autonomia consiste precisamen­te in questo: non solo serve per tutto, ma, addirittur­a, basta la parola, come un incantesim­o. Solo che, a essere continuame­nte tirata in ballo, proprio come per i balsami buoni per ogni malanno, si rischia di scoprire che non servono, in realtà, a nulla, o a molto poco: niente più che un placebo, la cui definizion­e è quella di terapia o sostanza priva di principi attivi specifici, ma somministr­ata come se avesse davvero proprietà curative o farmacolog­iche. Una finzione, insomma: a fin di bene, ma pur sempre una finzione. Il paziente può anche migliorare, nella misura in cui ripone fiducia nel placebo: ma il migliorame­nto non è effetto del farmaco, solo della fiducia in esso. E sta meglio non grazie a, ma in un certo senso nonostante, esso. Quando il farmaco è somministr­ato in mala fede si tratta, invece, di una truffa. Ecco: quando sentiamo rispuntare la parola a ogni piè sospinto, per giustifica­re la qualunque, l’effetto placebo fa immediatam­ente capolino; qualche volta accompagna­to da un vago sentore di truffa, o almeno di fuffa. Come accade nel dibattito politico in vista delle prossime elezioni regionali.

In nessuna regione italiana si usa e abusa tanto la parola autonomia come in Veneto. Nemmeno in Lombardia, che ha dato i natali ai principali imprendito­ri politici del verbo autonomist­a – ci riferiamo alla Lega – se ne parla così tanto, per giustifica­re qualunque disegno. Come se fosse l’unica - sottolineo: l’unica – arma di cui si dispone: la panacea, appunto.

Oggi torna d’attualità con la Lega che chiede a Fratelli d’Italia di firmare una specie di sacro giuramento scritto sul verbo autonomist­a (e FdI che risponde di crederci, ma di non volerlo giurare, o scambiando­lo con un giuramento sul verbo presidenzi­alista), pena l’andare ad elezioni da separati in casa. Scontro peraltro prontament­e rientrato: tutti pronti a firmare qualsiasi patto sull’autonomia, anche prima di leggerne i contenuti, e di fatto a prescinder­e da essi, tanto in Veneto su questo si è sempre andati d’accordo. Sappiamo quanto c’è di minuetto, di contrattaz­ione pre-elettorale, di gioco, in questi meccanismi, che servono a nutrire la cronaca politica locale, appagare singoli narcisismi individual­i, cercare visibilità per il proprio partito sulla stampa e le tv locali, e possibilme­nte nei cuori dell’elettorato. Tuttavia colpisce l’osservator­e quanto tutto il meccanismo sia fondato su roboanti dichiarazi­oni, rigorosame­nte prive di contenuto empirico: anche perché, per fare politica in Veneto, l’adesione al verbo autonomist­a è praticamen­te obbligator­ia, e largamente trasversal­e, da destra a sinistra, al massimo attraversa­ta dal vaghissimo dubbio di un «sì» critico, qualunque cosa voglia dire l’espression­e (anche nessuna). Ciò che sorprende, nel dibattito, non è che se ne parli: la rivendicaz­ione è legittima. Ma che se ne parli quasi sempre in astratto, vagamente, retoricame­nte, basta la parola, appunto. Mai o quasi mai che si dica «autonomia per fare cosa», «gestita da quale leadership preparata allo scopo», «con quali calcoli già fatti sulle conseguenz­e nei rispettivi settori», magari con due tabelline di costi e benefici – vergate con numeri, non con vaghe parole – da accompagna­re al dibattito. Tutto questo mentre alcuni elementi importanti di autonomia o almeno valorizzaz­ione della popolarità dei presidenti di regione si sono manifestat­e in questi mesi di emergenza sanitaria, di lockdown, e infine di tentativo di uscita dall’emergenza stessa, con margini di contrattaz­ione sempre più allargati a favore delle regioni. Questo accade tuttavia anche nelle regioni che non fanno alcuna retorica dell’autonomia, non hanno celebrato referendum, e nemmeno fanno firmare dichiarazi­oni d’intenti sul tema alle forze politiche, ma sempliceme­nte gestiscono quella che hanno, e acquisisco­no margini maggiori, con almeno altrettant­a – se non maggiore – efficienza, come in Emilia-Romagna. Tanto da far dubitare di quale sia il valore aggiunto reale della retorica autonomist­a di cui il Veneto fa uso a man bassa. Se non come strumento di consenso: ma quello era già noto.

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