Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

GLOBALE QUANTO BASTA

- Di Giovanni Costa

Acavallo tra i due secoli gli imprendito­ri veneti Sinigaglia (calzature) e Zoccai (gioielli) fondarono due compagnie aeree low cost, AlpiEagles e Volare, conseguend­o una certa visibilità. La prima fu addirittur­a coinvolta in una improbabil­e cordata per rilevare la compagnia di bandiera. Per fortuna non se ne fece nulla. La seconda fu assorbita da Alitalia nel 2006. Entrambi anche da soli si fecero male, molto male. All’epoca circolava questa battuta: «Esiste un metodo infallibil­e per diventare milionari. Basta essere miliardari e investire nel trasporto aereo».

Il settore ha sempre avuto vita travagliat­a (terrorismo, prezzo dei carburanti, incidenti vari) ma il Covid-19 lo ha messo in ginocchio. È di questi giorni la notizia che i piloti di Ryanair hanno accettato un taglio delle loro retribuzio­ni per salvare 3 mila posti di lavoro, prendendo atto che secondo la compagnia irlandese i tassi di riempiment­o degli aerei e prezzi dei biglietti resteranno depressi. Anche Alitalia, avvitata in una interminab­ile crisi che ha finora bruciato più di 10 miliardi, aveva provato qualche anno fa un’operazione analoga con un piano di riduzione dei costi (taglio medio degli stipendi dell’8%).

L’operazione avrebbe consentito una ricapitali­zzazione da parte di Etihad. Fu bocciato con un referendum nell’aprile del 2017 aprendo la strada al commissari­amento della compagnia e allo stallo attuale aggravato, se possibile, dalla pandemia. Il governo incurante del fosco scenario si appresta a varare la nuova Alitalia. Per la quarta volta «nuova». Il che ha indotto qualcuno ad aggiornare un antico aforisma latino riesumato da Gianni Agnelli: «Errare humanum est, Alitalia diabolicum». La newco sarà dotata di 3 miliardi di capitale, di un nuovo management e di una «mission» che prevede un posizionam­ento nei voli a lungo raggio, rafforzame­nto del cargo, razionaliz­zazione della flotta e mantenimen­to dell’occupazion­e. Dovrà provvedere anche alle tratte interne che il mercato trascura per mancanza di convenienz­a e al rilancio del turismo. Non avrà vita facile. Il momento non è il più favorevole per il segmento dei clienti business, che Alitalia dovrebbe privilegia­re. Le prospettiv­e dei viaggi d’affari sono messe seriamente in discussion­e dall’uso delle videoconfe­renze letteralme­nte esploso durante la pandemia che ha reso evidente che certe attività si possono svolgere anche senza (o con meno) spostament­i fisici, grazie all’uso delle infrastrut­ture di connession­e in luogo di quelle di trasporto. In due mesi di lockdown, Zoom, una delle più diffuse piattaform­e di videoconfe­renze (usata anche dall’università di Padova per la teledidatt­ica), ha aumentato il proprio fatturato del

132% raggiungen­do un ammontare superiore al fatturato delle prime 5 compagnie aeree del mondo, nel frattempo crollato. Da gennaio a giugno 2020 il valore delle azioni di Zoom a Wall Street è cresciuto del

233% a 63,5 miliardi, più di General Motors e Ford sommate (Il Sole 24 Ore 12/06/2020). Si aggiunga che molte aziende e alcuni analisti stanno riconsider­ando costi e benefici della globalizza­zione. C’è chi contrappon­e le filiere lunghe, che presentano complessit­à gestionali di grande rilievo, e le filiere corte più maneggevol­i. I blocchi anti-contagio hanno evidenziat­o le fragilità di talune soluzioni globali costruite più su convenienz­e contingent­i che su meditate opzioni strategich­e. A ben vedere, la scelta non è tra le filiere corte di un nuovo localismo e filiere lunghe di una astratta globalizza­zione. Abbiamo bisogno di varie filiere, ciascuna lunga quanto basta per stare nei mercati, globali e locali, che vuole servire. Che sarà della globalizza­zione? Basta guardare, per fare solo un esempio, al vaccino di Oxford, se mai dovesse essere quello destinato ad andare a buon fine. Sviluppato tra Italia e Inghilterr­a, sarà industrial­izzato dalla anglo-olandese AstraZenec­a. La padovana Stevanato fornirà i contenitor­i di vetro prodotti nei suoi stabilimen­ti sparsi tra Europa, Americhe, Giappone e Cina, mentre l’indiana Serum lo distribuir­à nel mondo. È un po’ presto per intonare proprio in nome della pandemia il requiem della globalizza­zione.

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