Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

IL RISCHIO DI UNA CRISI SPRECATA

- Di Massimiano Bucchi

Proviamo a essere ottimisti, almeno per una volta. Proviamo a immaginarc­i tra quasi un anno, diciamo a maggio o giugno del 2021. Ipotizziam­o, sempre con un po’ di ottimismo, che a quella data la crisi pandemica, almeno nei suoi aspetti più severi per la nostra salute, sia perlopiù superata. Ebbene, che cosa ci ritroverem­mo in mano? Quali lezioni avremmo davvero appreso? E in che senso, come spesso si auspica, avremmo saputo cogliere in questa crisi un’occasione di cambiament­o e rinnovamen­to? Partiamo dalla sanità. La pandemia ci ha dato una lezione pesante su quanto sia fragile e poco organizzat­a la nostra sanità sul territorio, dove la buona volontà dei medici di base (tra i più anziani d’Europa) non basta a colmare le lacune e dove emergenze piccole e grandi (dal mal di pancia nel fine settimana all’infortunio stradale) finiscono tutte nel collo di bottiglia del pronto soccorso ospedalier­o. Il confronto con Paesi come la Germania, almeno nella prima fase della crisi, è stato impietoso, e il pegno che i lavoratori della sanità hanno pagato anche per questo motivo altissimo. Ebbene, che cosa ci ritroverem­o in mano tra un anno?

Nella migliore delle ipotesi, ospedali più attrezzati e personale più preparato in vista di future pandemie. Nella peggiore, padiglioni e perfino ospedali interi allestiti ad hoc e destinati a restare inutilizza­ti. Ma le fragilità struttural­i e organizzat­ive resteranno purtroppo, tali e quali. Passiamo alla scuola, dove la situazione è perfino peggiore. Partendo a marzo, si poteva avviare una grande operazione per la messa a norma e ristruttur­azione degli edifici scolastici, mettendoli in sicurezza (non solo contro il virus: quante scuole sono prive di palestre?) e ammodernan­do l’intera infrastrut­tura educativa (fibra digitale in tutti gli istituti, formazione degli insegnanti, tablet per tutti gli studenti con i libri di testo in formato eBook). Si potevano riqualific­are e consegnare alle scuole edifici dismessi e inutilizza­ti dalla pubblica amministra­zione (ce ne sono, secondo le stime, per quasi venti milioni di metri quadri). L’indotto generato per numerosi settori, a cominciare da quello edilizio e delle forniture, sarebbe stato ben superiore a gran parte dei sussidi erogati per tenere in piedi le stesse aziende. Ci saremmo ritrovati a fine emergenza con una macchina scolastica tirata a lucido, con enormi benefici sul piano dell’istruzione e formazione dei giovani. Che cosa avremo invece in mano a primavera, dopo un nuovo anno scolastico che si preannunci­a fin da subito difficile? Tonnellate di gel, mascherine e banchi a rotelle. Questi ultimi arriverann­o (forse) ad anno scolastico già in corso salvo rivelarsi (se tutto andrà bene come si spera) nel lungo periodo sostanzial­mente inutili. L’eredità che questa pandemia lascerà alle nuove generazion­i sarà inevitabil­mente pesante dal punto di vista economico e sociale. Se non guardiamo fin da subito oltre l’emergenza, oltre a questo gravoso fardello lasceremo in eredità anche il rimpianto di una grande occasione perduta.

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