Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
IL RISCHIO DI UNA CRISI SPRECATA
Proviamo a essere ottimisti, almeno per una volta. Proviamo a immaginarci tra quasi un anno, diciamo a maggio o giugno del 2021. Ipotizziamo, sempre con un po’ di ottimismo, che a quella data la crisi pandemica, almeno nei suoi aspetti più severi per la nostra salute, sia perlopiù superata. Ebbene, che cosa ci ritroveremmo in mano? Quali lezioni avremmo davvero appreso? E in che senso, come spesso si auspica, avremmo saputo cogliere in questa crisi un’occasione di cambiamento e rinnovamento? Partiamo dalla sanità. La pandemia ci ha dato una lezione pesante su quanto sia fragile e poco organizzata la nostra sanità sul territorio, dove la buona volontà dei medici di base (tra i più anziani d’Europa) non basta a colmare le lacune e dove emergenze piccole e grandi (dal mal di pancia nel fine settimana all’infortunio stradale) finiscono tutte nel collo di bottiglia del pronto soccorso ospedaliero. Il confronto con Paesi come la Germania, almeno nella prima fase della crisi, è stato impietoso, e il pegno che i lavoratori della sanità hanno pagato anche per questo motivo altissimo. Ebbene, che cosa ci ritroveremo in mano tra un anno?
Nella migliore delle ipotesi, ospedali più attrezzati e personale più preparato in vista di future pandemie. Nella peggiore, padiglioni e perfino ospedali interi allestiti ad hoc e destinati a restare inutilizzati. Ma le fragilità strutturali e organizzative resteranno purtroppo, tali e quali. Passiamo alla scuola, dove la situazione è perfino peggiore. Partendo a marzo, si poteva avviare una grande operazione per la messa a norma e ristrutturazione degli edifici scolastici, mettendoli in sicurezza (non solo contro il virus: quante scuole sono prive di palestre?) e ammodernando l’intera infrastruttura educativa (fibra digitale in tutti gli istituti, formazione degli insegnanti, tablet per tutti gli studenti con i libri di testo in formato eBook). Si potevano riqualificare e consegnare alle scuole edifici dismessi e inutilizzati dalla pubblica amministrazione (ce ne sono, secondo le stime, per quasi venti milioni di metri quadri). L’indotto generato per numerosi settori, a cominciare da quello edilizio e delle forniture, sarebbe stato ben superiore a gran parte dei sussidi erogati per tenere in piedi le stesse aziende. Ci saremmo ritrovati a fine emergenza con una macchina scolastica tirata a lucido, con enormi benefici sul piano dell’istruzione e formazione dei giovani. Che cosa avremo invece in mano a primavera, dopo un nuovo anno scolastico che si preannuncia fin da subito difficile? Tonnellate di gel, mascherine e banchi a rotelle. Questi ultimi arriveranno (forse) ad anno scolastico già in corso salvo rivelarsi (se tutto andrà bene come si spera) nel lungo periodo sostanzialmente inutili. L’eredità che questa pandemia lascerà alle nuove generazioni sarà inevitabilmente pesante dal punto di vista economico e sociale. Se non guardiamo fin da subito oltre l’emergenza, oltre a questo gravoso fardello lasceremo in eredità anche il rimpianto di una grande occasione perduta.