Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Banca del sangue pronta «Plasma congelato o gli anticorpi calano»
PADOVA La banca del plasma è pronta, sono state interrotte le chiamate ai donatori, cioè agli ex malati di Covid-19. Creata all’ospedale di Padova per sostenere la terapia anticoronavirus a base di anticorpi di pazienti guariti da trasfondere in altri soggetti non rispondenti alle cure farmacologiche, può contare su
1800 unità terapeutiche da
200 millilitri l’una, donate da
600 volontari, molti dei quali operatori sanitari contagiati durante il lavoro in reparto.
«Da ognuno di loro abbiamo prelevato 600 millilitri di plasma ricco di anticorpi, poi suddiviso in tre sacche da 200 millilitri l’una — spiega il dottor Giovanni Roveroni, direttore del Coordinamento regionale per le attività trasfusionali (Crat) —. Abbiamo esaurito la lista dei ricoverati nel Veneto tra febbraio e maggio, qualcuno tra quelli con più anticorpi ha donato due volte nel giro di 7-10 giorni, perché abbiamo sfruttato il picco massimo degli stessi. Al momento sono state trasfuse 150 unità, a supporto della terapia alla quale i pazienti non rispondevano. La cura con il plasma rinforza e anticipa la risposta del sistema immunitario del malato, l’esito dipende dallo stadio della patologia. Per adesso non si sono evidenziati peggioramenti in coloro che l’hanno assunta». Anzi, dicono gli infettivologi, ha sortito miglioramenti in tutti.
Però c’è un «ma»: gli anticorpi «scadono». «A uno o due mesi dalle dimissioni del paziente, cominciano a decrescere — rivela il dottor Roveroni — ci sono curve di salita e discesa, noi abbiamo prelevato il plasma nel momento del plateau, prima cioè della discesa. Tutte le 1800 unità sono state congelate, in modo che gli anticorpi mantengano la loro forza per 24 mesi. Ma nessuno nel mondo scientifico parla di immunità permanente, nemmeno il vaccino sappiamo se sia in grado di garantirla o se, come quello contro l’influenza, andrà periodicamente ripetuto. Per produrre un vaccino di solito ci vogliono anni: sono necessarie molte prove, anche perché i virus mutano».
E allora chi il Covid-19 l’ha avuto non può dire: non lo riprendo. Per esserne sicuri bisognerebbe reinfettarsi a distanza di tre, sei e dodici mesi dalla guarigione. Ovviamente impossibile. «Tutti gli anticorpi tendono a scendere nel tempo e quando sono al valore minimo non sono più in grado di bloccare i virus», aggiunge il direttore del Crat. Ecco la necessità di «cristallizzare» gli anticorpi congelando il plasma donato. E prelevato da pazienti sintomatici, naturalmente con tampone positivo, e colpiti da manifestazioni importanti del coronavirus, come la febbre alta, che stimolano maggiormente il sistema immunitario e quindi la produzione di anticorpi.
Il plasma dei donatori è stato sottoposto a test di «neutralizzazione» del virus, messo a punto dal professor Andrea Crisanti, ed eseguito solo negli ospedali di Padova e Pavia e all’Istituto Spallanzani di Roma, riferimento per l’emergenza. «Questa procedura appura l’esistenza o meno di anticorpi — spiega il dottor Roveroni — e in caso positivo rileva se inibiscono la crescita virale». Si sono presentati pure molti volontari asintomatici o con pochi sintomi, trattati a casa: oltre l’80% si è rivelato idoneo alla donazione. Secondo le disposizioni del Centro nazionale sangue, va infatti conservato anche il plasma con meno anticorpi, utile per studi sul vaccino e sperimentazioni. «C’è ancora molto da studiare — chiude il direttore del Crat — siamo di fronte a una malattia imprevedibile, che scatena cambiamenti radicali nel paziente da un giorno all’altro. Nel bene e nel male».