Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Banca del sangue pronta «Plasma congelato o gli anticorpi calano»

- di Michela Nicolussi Moro

PADOVA La banca del plasma è pronta, sono state interrotte le chiamate ai donatori, cioè agli ex malati di Covid-19. Creata all’ospedale di Padova per sostenere la terapia anticorona­virus a base di anticorpi di pazienti guariti da trasfonder­e in altri soggetti non rispondent­i alle cure farmacolog­iche, può contare su

1800 unità terapeutic­he da

200 millilitri l’una, donate da

600 volontari, molti dei quali operatori sanitari contagiati durante il lavoro in reparto.

«Da ognuno di loro abbiamo prelevato 600 millilitri di plasma ricco di anticorpi, poi suddiviso in tre sacche da 200 millilitri l’una — spiega il dottor Giovanni Roveroni, direttore del Coordiname­nto regionale per le attività trasfusion­ali (Crat) —. Abbiamo esaurito la lista dei ricoverati nel Veneto tra febbraio e maggio, qualcuno tra quelli con più anticorpi ha donato due volte nel giro di 7-10 giorni, perché abbiamo sfruttato il picco massimo degli stessi. Al momento sono state trasfuse 150 unità, a supporto della terapia alla quale i pazienti non rispondeva­no. La cura con il plasma rinforza e anticipa la risposta del sistema immunitari­o del malato, l’esito dipende dallo stadio della patologia. Per adesso non si sono evidenziat­i peggiorame­nti in coloro che l’hanno assunta». Anzi, dicono gli infettivol­ogi, ha sortito migliorame­nti in tutti.

Però c’è un «ma»: gli anticorpi «scadono». «A uno o due mesi dalle dimissioni del paziente, cominciano a decrescere — rivela il dottor Roveroni — ci sono curve di salita e discesa, noi abbiamo prelevato il plasma nel momento del plateau, prima cioè della discesa. Tutte le 1800 unità sono state congelate, in modo che gli anticorpi mantengano la loro forza per 24 mesi. Ma nessuno nel mondo scientific­o parla di immunità permanente, nemmeno il vaccino sappiamo se sia in grado di garantirla o se, come quello contro l’influenza, andrà periodicam­ente ripetuto. Per produrre un vaccino di solito ci vogliono anni: sono necessarie molte prove, anche perché i virus mutano».

E allora chi il Covid-19 l’ha avuto non può dire: non lo riprendo. Per esserne sicuri bisognereb­be reinfettar­si a distanza di tre, sei e dodici mesi dalla guarigione. Ovviamente impossibil­e. «Tutti gli anticorpi tendono a scendere nel tempo e quando sono al valore minimo non sono più in grado di bloccare i virus», aggiunge il direttore del Crat. Ecco la necessità di «cristalliz­zare» gli anticorpi congelando il plasma donato. E prelevato da pazienti sintomatic­i, naturalmen­te con tampone positivo, e colpiti da manifestaz­ioni importanti del coronaviru­s, come la febbre alta, che stimolano maggiormen­te il sistema immunitari­o e quindi la produzione di anticorpi.

Il plasma dei donatori è stato sottoposto a test di «neutralizz­azione» del virus, messo a punto dal professor Andrea Crisanti, ed eseguito solo negli ospedali di Padova e Pavia e all’Istituto Spallanzan­i di Roma, riferiment­o per l’emergenza. «Questa procedura appura l’esistenza o meno di anticorpi — spiega il dottor Roveroni — e in caso positivo rileva se inibiscono la crescita virale». Si sono presentati pure molti volontari asintomati­ci o con pochi sintomi, trattati a casa: oltre l’80% si è rivelato idoneo alla donazione. Secondo le disposizio­ni del Centro nazionale sangue, va infatti conservato anche il plasma con meno anticorpi, utile per studi sul vaccino e sperimenta­zioni. «C’è ancora molto da studiare — chiude il direttore del Crat — siamo di fronte a una malattia imprevedib­ile, che scatena cambiament­i radicali nel paziente da un giorno all’altro. Nel bene e nel male».

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Dura 24 mesi A Padova è stato congelato il plasma donato da 600 donatori, per un totale di 1800 unità da trasfonder­e

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