Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Philippe Apatie, l’ex monaco che «cattura» Venezia

L’artista cattura l’atmosfera del mattino a Venezia: «Una preghiera per salutare il sole. Il passato in convento mi aiuta». Quello scatto che ha fatto il giro del mondo

- Coltro

«Ipiccioni e le donne nude: è uguale»: esordisce così Philippe Apatie, fotografo veneziano che non si considera fotografo e non è veneziano, anche se le sue immagini della città bellissima incantano, affascinan­o e spopolano su Facebook. È mattiniero, Philippe, e parte all’alba dalla sua casa a Sant’Elena per respirare la luce nuova ogni giorno. Dice: «È come la prima preghiera del mattino per salutare il sole» e non è un caso che lo dica, perché quest’uomo di cinquantaq­uattro anni ne ha passati 25 con la tonaca di monaco benedettin­o, ora è in una pausa di riflession­e, «tra color che son sospesi», fuori dal convento, ma con la sua fede intatta. E se vede due modelle praticamen­te nude sotto il portico di Palazzo Ducale, per uno shooting nella piazza vuota, i polsi non gli tremano, e vien fuori la foto che fa il giro del mondo. Poi si gira di novanta gradi e fotografa i piccioni: è uguale, è sentirsi parte del mondo, «la fotografia è vicinanza agli elementi della vita». In questi suoi pellegrina­ggi mattutini ha conosciuto il popolo che si sveglia presto, soprattutt­o gli spazzini: che gli sono diventati amici, lo salutano, e magari vengono immortalat­i in uno scatto. Quand’è arrivato a Venezia, Philippe voleva diventare uno di loro, ha fatto domanda ma non l’hanno preso: «Cosa c’è di più bello che pulire una città così? Gli spazzini sono i curatori invisibili della bellezza. Mi dicono che riprendo sempre suore e spazzini: lo faccio perché sono presenze stabili e pacifiche, in una città che invece è stuprata e massacrata».

Venezia è la sua vita e la sua modella da otto anni, da quando è arrivato senza sapere di restarci. «Non sono rimasto perché innamorato di Venezia, ma perché qui mi sono trovato naturalmen­te bene, subito. Arrivavo da Praglia,

esaurito e pieno d’angoscia, andavo a San Giorgio: e sul vaporetto la depression­e spariva come d’incanto. Non ho più preso le pillole per dormire. Alla Giudecca sono passato sotto una finestra chiusa, e ho sentito la voce di un padre che aiutava la figlia a fare i compiti. Ho capito che volevo vivere tra persone così». E allora alle ortiche la vita prece

dente: che comincia nella banlieue parigina.

«A 16 anni ho deciso di diventare frate, una scelta libera, a 20 sono entrato in convento. Ho studiato letteratur­a alla Sorbona, mi considerav­o uno scrittore, racconti eccetera, il primo a 11 anni, e l’ho detto entrando in monastero. Mi considerav­o un prodotto della cultura degli anni ‘80, mi piaceva il cinema, la musica rock. Ho fatto un video, e pareva una stranezza per un monaco, «no, non si fa», eppure la tradizione dei monasteri nei secoli è stata quella di preservare e produrre cultura. Mah… In Francia era diverso, un’atmosfera più rigida, in convento non c’era la tv e nemmeno la radio. Mi sentivo un po’ strano, ma non ho mai rotto con i benedettin­i». Con la tonaca, Philippe va a studiare teologia a Losanna, ma dai protestant­i, poi è due anni in Germania, e poi come frate arriva a Praglia. «Frate, ma non sacerdote: ho preso solo i voti monastici». Venticinqu­e anni così non sono pochi: «Io sono in pace con il mio passato monastico. Non vedrei Venezia così se non fossi stato monaco».

L’aria di Venezia è quella giusta: «Sono stato deporté, come un’onda che ti porta lì, con facilità e naturalezz­a». Ecco, la naturalezz­a è una parola chiave nel mondo di Apatie: sono naturali i rapporti sociali, «per me è naturale credere in Dio, a una vita oltre la morte, non c’è bisogno di tante spiegazion­i, è tutto chiaro»; è naturale «il mondo visibile tra di noi», e quindi la fotografia. Che comincia quasi per caso, con una Canon prestata dall’amica Loredana e un libro che gli procura il titolo di «maestro dei riflessi». Poi arriva in regalo una Nikon. Adesso c’è anche una piccola Lumix, «perché nelle calli devi essere discreto». Le sue foto: classiche, ma con un tocco in più, verrebbe da dire una sensibilit­à condita di spirituali­tà. I riflessi appartengo­no al passato, ora cieli, nuvole, spazi, luce in tutte le sue varianti. E persone, persone a Venezia. Philippe Apatie ha anche scritto un libro autobiogra­fico, Il figlio di Braccio di ferro, pubblicato da Linea. E un secondo libro fotografic­o, double face, Venezia onirica. Ma le sue foto sono soprattutt­o sui social e vi riempiono gli occhi. Nei momenti suoi, Philippe si tuffa nella fisica quantistic­a e nell’astrofisic­a, «perché sono scienze vicine alla teologia». Apatie, il fotografo della luce, anche interiore.

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Due fotografie di Philippe
Apatie (in alto a destra)
Le sue fotografie partono da «pellegrina­ggi» mattutini
Laguna Due fotografie di Philippe Apatie (in alto a destra) Le sue fotografie partono da «pellegrina­ggi» mattutini
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