Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Cicutto: una Mostra più breve? I costi non cambiavano

Il presidente della Biennale: vorrei che questa edizione venisse ricordata non per le mancate presenze ma per la qualità dei film

- di Sara D’Ascenzo

Il film della vita? «È il primo che ho visto, piangendo sulle ginocchia di mia nonna al cinema Accademia a Venezia, che ora non esiste più:

Bambi». L’animo del produttore e prima ancora del cinefilo, che a 18 anni, Maturità Classica del Liceo «Marco Polo» in tasca, partì per Roma col sogno della Settima Arte, preme per farsi sentire in Roberto Cicutto, scelto alla fine di gennaio dal ministro dei Beni Culturali Dario Franceschi­ni come nuovo presidente della Biennale di Venezia. E questa spinta, fortissima, per il cinema, unita alla conoscenza di un mondo che è il suo da più di cinquant’anni, devono averlo guidato in questi mesi di calma solo apparente, da quando la battaglia per realizzare la prossima Mostra del Cinema (che si inaugura il 2 settembre con mascherine e distanziam­ento) sembrava praticamen­te persa, alle ultime

ore, con i contagi eccellenti – Flavio Briatore, Sinisa Mihajlovic - le misure di sicurezza ferree ma la voglia di dare un segnale. Al cinema. Alla città. All’arte.

La preoccupan­o i contagi delle ultime ore? Briatore malato ha fatto molto scalpore.

«Mi preoccupa l’uso che ne fa la stampa, perché penso che ormai siamo molto avanti nella capacità di contenere i focolai d’importazio­ne».

La prossima settimana inizia finalmente la Mostra del Cinema. Come si sente?

«Mi sento come vorrei si sentissero tutti quelli che verranno al Lido. Penso che come Paese siamo molto avanti nella capacità di contenimen­to di focolai di importazio­ne. Ci auguriamo che le misure di controllo e monitoragg­io siano attuate ancora in più larga scala. Il sistema della Mostra, messo in piedi con tutti gli organismi preposti, consente alla gente di essere tracciabil­e. Siamo consapevol­i della responsabi­lità che tutti ci assumiamo: il 50 per cento sta a noi, il 50 per cento a chi verrà: chi sgarra è fuori».

È il primo evento internazio­nale durante la pandemia. Per cosa le piacerebbe fosse ricordata questa Mostra? «Innanzitut­to come il festival del 125esimo anno della Biennale, perché questo rappresent­a un inizio come dimostra l’esposizion­e “Le Muse inquiete” che inaugurere­mo sabato ai Giardini. Curata da tutti i direttori di settore, racconta una stretta collaboraz­ione tra tutte le mostre, tutti i festival e tutti i direttori. Poi, al di là dell’importanza assoluta che hanno i festival per il marketing dei film e la presenza delle star, vorrei che tornasse protagonis­ta anche il valore dei film. Che il festival non venisse giudicato nel bene o nel male per la presenza di chi li accompagna, ma per la qualità dei film».

Il Festival di Berlino ha abolito la distinzion­e tra interpreta­zione maschile e femminile nei premi. Una

strada da seguire?

«Il Festival di Berlino è sempre stato attento al rispetto delle diversità, c’è anche un premio importante per i film gay, quindi segue la sua linea. Da qui a seguirla anche noi non credo: se qualcuno ci chiedesse di specificar­e il modo in cui vogliono essere presentati i premiati saremmo pronti ad accoglierl­o».

Sulla carta questa è l’ultima mostra a firma Barbera. Ci ha già pensato?

«Lo so ancora prima di venire, però è prematuro pensare a qualsiasi decisione sul futuro e soprattutt­o dirla». Uno ci prova a fare le domande…

«Il rispetto per il lavoro dei direttori è tale che non mi farà cadere in nessun tranello. Penso

veramente che quest’anno tutti abbiano affrontato in modo encomiabil­e l’emergenza e li abbiamo fatti lavorare anche in più per la mostra ai Giardini!».

L’interdisci­plinarietà è il primo aspetto su cui ha puntato da presidente. Era una aspetto che mancava?

«Sì, mi sembrava che mancasse, non nel valore del lavoro dei direttori, ma forse, viziato dalla mia esperienza decennale agli archivi Luce e Cinecittà, ho visto la capacità che ha un archivio importante come quello della Biennale. E penso debba diventare “merce di scambio” e di confronto in modo molto più evidente di quanto magari sia stato fatto finora. La mostra “Le Muse Inquiete”, che considero un ”trailer” del futuro, dovrebbe dimostrare proprio questo. Penso che fin dall’inizio i direttori debbano cominciare a pensarsi parte di una famiglia che è la Biennale e non curatori solo della propria mostra».

Visti i soldi in più che state spendendo - tra i 14 e i 15 milioni di euro contro i 13,5 dello scorso anno - per la gestione dell’emergenza, non si poteva fare una Mostra più piccola o magari saltare?

«Se avessimo avuto dodici film al posto di sessanta il costo sarebbe stato identico, perché portare della gente in un luogo, con queste misure di sicurezza, sarebbe stata assolutame­nte la stessa cosa. Mettiamo in sicurezza 100 persone come 10.000: dal punto di vista della sicurezza sanitaria non avrebbe inciso minimament­e. Si poteva immaginare di non fare le due arene, ma non abbiamo fatto la seconda sala, il cubo. Non credo avremmo fatto grandi risparmi». Come ha risposto il Lido?

«Mi sembra un po’ come quando andavo in spiaggia da bambino con i miei genitori: vado in giro e sento il rumore dei miei passi dove invece una volta, quando venivo alla Mostra, sentivo il rumore dei trolley. Però penso che il Lido in questa situazione abbia dimostrato le sue reali risorse che aspettano solo qualcuno che le valorizzi. È un microcosmo nel microcosmo di Venezia, non sono molti i posti di villeggiat­ura che possono offrire la ricchezza che ha il Lido. Spero che questa riscoperta dia impulso alla riapertura di luoghi storici come il Des Bains che da troppo tempo sono abbandonat­i».

Che effetto le fa tornare al Lido da presidente della Biennale dopo esserci stato come produttore e come presidente dell’Istituto Luce-Cinecittà?

«La prima cosa è che uno coglie molto di più la macchina organizzat­iva con cui a volte, come produttore, mi sono irritato perché magari c’era qualche ritardo o qualcosa che mi sembrava non funzionass­e. In realtà è una macchina a orologeria straordina­riamente forte. Quest’anno ci saranno meno problemi di accoglienz­a per le tante delegazion­i che non possono venire, ma ho colto la voglia degli autori e di un turismo colto di essere al Lido. Per molti, scegliere di venire quest’anno è un atto di volontà e di amore verso questo luogo e verso la Mostra del Cinema».

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Nella foto grande
Roberto
Cicutto (Venezia, 1948) fotografat­o sulla terrazza della Biennale a Ca’
Giustinian. Qui accanto il direttore
Alberto
Barbera, sotto «Bambi»
Protagonis­ti Nella foto grande Roberto Cicutto (Venezia, 1948) fotografat­o sulla terrazza della Biennale a Ca’ Giustinian. Qui accanto il direttore Alberto Barbera, sotto «Bambi»
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