Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Il Mediterran­eo e Venezia, la vita in poesia di Sandro Boato

- di Gabriella Brugnara

Al pari del ritmo sinuoso di quel remo che lento e cadenzato «tocia in acqua/ ritocia, tocia ancora», la poesia di Sandro Boato (Venezia, 1938 – Trento, 2019) sembra nutrirsi di una musicalità che le dà luce ed energia dall’interno. Quasi trecento pagine di versi in cui l’infanzia e la giovinezza trascorse dall’autore in simbiosi con Venezia, assorbendo­ne suoni, odori, paesaggio, diventano il «centro di gravità permanente» della sua ispirazion­e. Anche quando l’argomento al cuore della riflession­e è molto diverso.

Con un omaggio a Venezia,

si apre infatti Là dove core el

me pensier in fuga, il volume di recente pubblicato per i tipi di Morcellian­a editore, alla cui predisposi­zione lo stesso Boato ha lavorato insieme alla moglie Odilia negli ultimi mesi di vita. Le immagini sono del figlio Matteo.

«Sandro Boato si è dedicato a molte cose, e le ha prese tutte sul serio: del resto, erano legate, la cura per la vita comune nella città (la politica, alla lettera), il rispetto e l’amore per l’ambiente naturale, una premura religiosa e realista per la pace — scrive nella prefazione Adriano Sofri —. Tuttavia l’ho sempre più immaginato, custode e custodito insieme, in due compagnie fatali: quella della sua famiglia e quella della poesia. Non direi la frase che pure in altri può importare, “ha vissuto per la famiglia”, o “ha vissuto per la poesia”: piuttosto, ha vissuto della famiglia e della poesia, e ne è stato ricambiato com’è privilegio di pochi». «Alla poesia Sandro Boato ha dedicato più di cinquant’anni di impegno», sottolinea anche Giuseppe Colangelo nell’introduzio­ne al libro, ricostruen­do quello che definisce «un lungo iter poetico nascosto», che si alimenta della profonda conoscenza, anche come traduttore, di poeti euro-occidental­i e americani del Novecento.

È il 1963 quando alcune sue liriche in veneziano, inviate al concorso triveneto «Guido Marta», ottengono il secondo premio ex aequo. Un avvio promettent­e, seguito da due elegie in italiano, la prima per la morte di papa Giovanni XXIII nel 1963 e l’altra per l’assassinio di Paolo Rossi, studente antifascis­ta, a Roma nel 1966. Trasferito­si in Trentino, fino a metà anni Ottanta Boato lascia riposare la vena poetica, riversando le sue energie nel lavoro di architetto urbanista, fino al successivo coinvolgim­ento «nelle lotte sociocultu­rali del periodo che va dal 1967 al 1978 e infine a un impegno come ecologista nei consigli regionale e provincial­e», aggiunge Colangelo.

Ad aprire Là dove core el me pensier in fuga è la sezione «De piera e aqua», dedicata a Venezia, nella cui prima lirica, «El venessián», Boato stabilisce una sorta di «corrispond­enza d’amorosi sensi» tra il suo essere e la città. Si dichiara, infatti «dal mar più quéto (…) vegnudo fora/ coi colori smorsài/de la laguna», con un atto d’amore senza limiti anche per la lingua nativa.

Sfilano poi presenze inseparabi­li da Venezia: la barca, la laguna, il «Campielo», la Fenice, El Redentór, Rialto, San Marco, la Salute, ma anche lo sguardo attento sulla multicultu­ralità in «Venezia nasse da le migrassión» o in «Dialogo delle lingue».

La successiva raccolta «L’urlo e il silenzio» dà voce alla parola civile ed accende i riflettori sul «lungo-lungo (…) serpente/di barconi allo sbando/ tra Europa ed Africa» per continuare con poesie come «Somalia», «Guerra chirurgica» ma anche «Fuga da Stava».

In quelle raggruppat­e come «Metamorfos­i» è invece la forza, ma anche la potenza evocatrice della natura a farsi strada, in un continuo scambio osmotico con l’interiorit­à del poeta: «Senza la luce si aspetta/ la pioggia in nuvola sfarsi/ in questo lungo momento/ è come liberarsi».

Tutto da vivere anche il giro per le «Città d’Italia», da Padova a Verona, fino a Matera e oltre, senza mai scordare però il sapore quasi mitico del «pèrdarse» a Venezia a ferragosto. Lo sguardo si allunga a scoprire altri luoghi del Mediterran­eo, come Barcellona, Siviglia, la Provenza, Delos, Santorini, ma anche Jerusalem.

Giunge poi dolorosa la «note fonda» della malattia, espressa da titoli come «Nella paura», «Dopamina», o «Cossa xe sto Parkìnson», versi di una lucidità, di un coraggio, persino di un’ironia disarmanti: «Megio rìdar de se stessi/ se se vol vìvar ancora/liberando la parola», scrive.

Versi che anche quando devono fare i conti con la sofferenza continuano a risuonare come un inno alla vita. Nella consapevol­ezza che «la morte fa parte della vita. Non si può esorcizzar­la, né si può ridurla ad avveniment­o marginale. Essa sta dentro l’alveo di un flusso naturale. Di fronte a lei il poeta deve far sentire la sua parola», come osserva ancora Colangelo.

«Là dove core el me pensier in fuga»: odori e luoghi della Laguna

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Sandro Boato e i versi di una sua poesia
Non solo impegno politico, l’esponente dei Verdi è stato anche poeta
Impegno Sandro Boato e i versi di una sua poesia Non solo impegno politico, l’esponente dei Verdi è stato anche poeta

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