Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
IMPRESE, UN NUOVO MODELLO
Per l’occupazione nel Veneto suona la campanella d’allarme. Secondo Assindustria Venetocentro, l’87% degli imprenditori trevigiani e padovani intervistati ritiene «abbastanza (53,5%) o molto prevedibile (33,6%) un forte aumento della disoccupazione nei prossimi sei mesi». L’Associazione sottolinea la necessità di «incidere sui nodi strutturali con riforme e investimenti, volti al rilancio dell’economia, dell’impresa e del lavoro». Tra i nodi da troncare con un colpo di spada, c’è l’invecchiamento dell’imprenditorialità veneta e dei giovani che non creano imprese. A tirare un fendente dovrebbe contribuire FinTech, la combinazione di tecnologie digitali e servizi finanziari che nel 2019 aveva registrato una crescita del fatturato nell’ordine del 40%. Il Veneto copre solo il 3% delle 278 società FinTech attive in Italia. Per più del 50% di queste, la sede è in Lombardia. Il Veneto, come l’intera comunità nazionale, soffre della debolezza di finanziamenti da destinare a investimenti con alte prospettive di reddito e di rischio. L’Osservatorio Startup Hi-tech del Politecnico di Milano ha riscontrato che «in Italia nel Venture Capital si investe ancora solamente 1/7 di quanto fanno le controparti tedesche e circa 1/6 di quanto finanziato in Francia». Conseguentemente, il nostro paese è stazionario al decimo posto nella classifica europea delle startup tecnologiche che riescono a scalare la montagna della crescita.
Esse procedono a un passo molto più lento rispetto ai valori medi europei. In un blog del Cuoa Business School, Giovanni Baldassari e Riccardo Clocchiatti, chiamano in causa gli «imprenditori affermati, che potrebbero destinare una parte dei loro risparmi ad investimenti più arditi ma potenzialmente molto redditizi e di grande impatto sul territorio. Investire nel FinTech vuole infatti dire incentivare le nuove imprese e l’imprenditorialità, avvicinare le Pmi ai prestiti e ai servizi finanziari in generale, e portare nel nostro territorio rare e preziose competenze. Non è forse ragionevole che chi ha ottenuto tanto puntando su sé stesso e sul suo territorio, scommetta una seconda volta su una nuova generazione di imprenditori?».
I tempi sono maturi per muoversi in questa direzione. Come ha osservato il settimanale inglese The Economist, Internet veloce, universale e senza fili è un motore per le startup, non diversamente da quanto efficace sia stata la macchina da stampa di Gutenberg nell’imprimere una spinta formidabile ai nascenti editori, permettendo una distribuzione globale ed economica di prodotti e servizi. Nell’ultimo decennio, con il costo di sviluppo di un prodotto diminuito di un fattore 10, fin dal primo giorno una startup potrebbe essere ciò che Steve Blank definisce una «micromultinazionale». Non c’è solo il ballo la creazione di ricchezza. Le startup portano anche tanto lavoro. L’arcobaleno della nuova imprenditorialità che scavalcasse l’orizzonte «made in Italy» del tessuto imprenditoriale veneto, seppur rivisitato in chiave hi-tech e digitale, confermerebbe i risultati di uno studio della fondazione Kauffman secondo cui nell’arco di tre decenni le startup sono state responsabili di tutti i nuovi posti di lavoro creati negli Stati Uniti. Sempre più persone sono sensibili ai nuovi ideali dell’era della conoscenza. Esse reclamano l’esercizio del diritto inalienabile di partecipare al processo decisionale e all’affiliazione informali, alla collaborazione unita al fai-da-te. È questo il mondo dell’innovazione aperta le cui parole magiche sono ideare e condividere la nuova imprenditorialità che prenda il posto dell’ormai vetusta società commerciale.