Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Addio al «dibattito» zero pacche sulle spalle la nuova vita del cinefilo
Di fronte al dilemma se vivere o morire, il cinefilo sceglierebbe l’eroica combinazione in grado di garantirgli sempiterna gloria nell’universo di chi vive cibandosi di pane e cinema: morire sì, ma in sala guardando un film, possibilmente sopra i 180 minuti. E la Mostra del Cinema di Venezia, anche se i puristi da qualche anno storcono il naso, è il tempio laico di chi venera la Settima Arte.
Tolte le concessioni a quei titoli che nelle scorse edizioni scaricavano su suolo lidense orde di fan devoti all’apparire (dei divi) e non all’essere (nelle sale), la Mostra è da sempre il covo dove trovano rifugio gli adepti dei film da vedere a orari impossibili incrociando altre tre visioni per poi dedicarsi all’amato dibattito. Questo fino all’anno scorso. Con la pandemia, anche per gli amanti dell’abbinata cinema&dibattito le cose sono cambiate. E anche per il cinefilo con la mascherina, la routine dell’infradito col bermuda, l’uscita tattica per riuscire a incastrare fino a sei film al giorno, è stata stravolta. «La mia prima Mostra penso sia del ’96-’97 – racconta Vincenzo Mei, romano – fino a qualche anno fa venivo anche per scegliere i film da proiettare in un piccolo circolo di cinema, come se fossi stato un piccolo esercente. Ora per me è una vacanza. Anzi: queste sono le mie ferie. Come del resto quando vado a Berlino o a Roma». Venezia per lui era… «Libertà totale – continua Vincenzo -. Ero tranquillo. Al massimo, negli ultimi anni, i controlli antiterrorismo, come ci sono dappertutto».
Poi si è saputo che la Mostra del Cinema si sarebbe fatta, ma in condizioni completamente nuove. E tra gli appassionati, divisi in famiglie in base al colore dell’accredito ottenuto – rosso, blu, verde – è arrivato il tema della prenotazione obbligatoria dei posti: «Quando è uscita la notizia che bisognava prenotare tutto ero nel panico – racconta Vincenzo – temevo ci fossero
precedenze e i posti finissero. Invece muovendosi per tempo (anche 72 ore prima, ndr) si possono scegliere i posti che si vogliono, e io sono un po’ maniaco di dove sedermi».
Quanto alle mascherine, «pensavo di soffocare, ma dopo cinque minuti che guardi il film te la dimentichi». E poi c’è il tema del distanziamento fisico. Il Lido, in questo plastica rappresentazione dei luoghi di villeggiatura, è sempre stato un posto dove si arriva dopo un anno e si salutano tutti gli amici che in realtà sono compagni di vedute, spesso sodali inseparabili per quelle due settimane e poi contatti nei tanti gruppi whatsapp a tema.
Perciò il momento dell’arrivo è sempre anche il momento dell’abbraccio, della pacca sulla spalla, di quel saluto caloroso in grado di sotterrare l’eventuale discussione sorta in rete sull’eterno dilemma Nolan sì, Nolan no.
Non l’aveva del resto detto anche l’ex presidente della Biennale Paolo Baratta qualche anno fa, ricordando che i festival del cinema si fanno per l’incontro tra le persone e i film, altrimenti che si farebbero a fare? «Per il momento – riflette Vincenzo – ho visto solo gli amici con cui divido la casa, e con loro siamo andati oltre il saluto col gomito. Ci saranno sicuramente delle limitazioni, ma meglio così che saltarlo. Il dibattito, le discussioni dopo i film, anche accese, anche feroci e fino a tarda notte, si possono fare comunque, anche stando distanziati».