Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Rumor e l’attualità di quel regionalismo «necessario per cambiare la società»
Un convegno a 30 anni dalla morte rivaluta il pensiero del leader Dc
VICENZA Il passato è una terra straniera. O rischia di esserlo, se non si fa memoria di cronaca e storia. Soprattutto quando l’attualità di idee ed impegni, programmi e progetti è così particolarmente pregnante. Prendiamo il pensiero di Mariano Rumor, il «Pio Mariano», come lo interpretò qualcuno, il «fil di ferro nel marzapane», per il giornalista Gigi Ghirotti, un autentico «imprenditore politico» (la definizione è di Ilvo Diamanti). Una bonaria indifferenza ha attenuato il ricordo di questo protagonista, illuminato ed intellettualmente capace, in un tempo di inesorabile discredito per la Politica, quella con la «P» maiuscocazione la. Rumor, insiste Paolo Mieli: «un grande leader democristiano», «ingiustamente sottovalutato». «Segnò la svolta riformista del Paese, più di quanto seppe fare il centrosinistra», aggiunge un altro storico, Agostino Giovagnoli.
Un convegno, domenica scorsa, a Tonezza, voluto dal sindaco Franco Bertagnoli, che di Rumor, da giovane poliziotto, fu caposcorta, a 30 anni dalla scomparsa (22 gennaio 1990), ha riconosciuto ampiamente l’attualità del pensiero del cinque volte Presidente del Consiglio ed il suo ruolo, da segretario nazionale della DC, nella promozione delle autonomie, nella ferma convinzione che fosse l’applidel regionalismo la leva per ammodernare il nostro Stato. Di questo aspetto ha dissertato Filiberto Agostini, dell’Università di Padova, che di Rumor curò e catalogò l’archivio personale, oggi racconto nella Biblioteca del Senato, a Palazzo Madama.
«Il regionalismo sostenuto da Rumor non è una via di comodo ma una necessità a favore del cambiamento della società»: lo ha richiamato nel suo intervento il sottosegretario all’Interno, Achille Variati.
La rivisitazione storica, sia pur lentamente, sta dando ragione al «Rumor del fare», a quest’uomo sempre legato e «sensibile alla provincia», anche quando assumeva ruoli nazionali ed internazionali (più volte presidente dei democristiani europei e mondiali). Moderato nello stile di governo, molto impegnato nelle riforme sociali. E proprio per questo, gli storici oggi più attenti, nel rivalutarlo, parlano di un riconoscimento «troppo sottaciuto» alla sua attività di governo. Attento nell’accogliere l’eredità di De Gasperi, del quale fu collaboratore, e ancor più delle istanze sociali che erano care a Dossetti, Rumor ha alimentato la sua vocazione alla continuità nutrendola però di cambiamento. Con tale spirito ha saputo gestire le contestazioni del ’68 (entrò per la prima volta a Palazzo Chigi il 13 dicembre del 1968), l’autunno caldo, la crisi, lo shock petrolifero e l’austerity con le domeniche a piedi. Ai suoi Governi si devono i piani verdi in agricoltura, lo Statuto dei Lavoratori, la nascita delle Regioni, l’avvio della scuola materna pubblica, il libero accesso all’università, l’introduzione convinta dell’istituto del referendum. Sempre con fermezza, da uomo della responsabilità, con grande senso dello Stato. Il Paese allora aveva fiducia nella sua classe dirigente.
Più comodo e facile ricordare il declino di Rumor. E dimenticarlo nelle molte accuse infondate che lo hanno travolto, con l’abbandono dei suoi delfini. Nei primi anni Settanta Mariano Rumor annotava nel duo «diario»: «Sono un uomo qualunque e un uomo solo». «Metamorfosi vicentine», le avrebbe definite un altro acuto storico, Emilio Franzina, che lo indica come «uomo morbido ma capace di inflessibili durezze».