Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

CONTRATTI UN NUOVO MODELLO

- Di Luca Romano

Ben tre lavoratori dipendenti su quattro hanno il contratto nazionale scaduto. È noto che Carlo Bonomi, neopreside­nte di Confindust­ria, ha chiesto una moratoria. Gli effetti della pandemia si fanno sentire, indubbiame­nte, ma la difficoltà a rinnovare i contratti ha ragioni diverse. Una è certo dovuta all’usura del modello centralizz­ato di contrattaz­ione, che vorrebbe fare da ombrello a tutto e, invece, non riesce più a ricomporre un mondo del lavoro frammentat­o. Appare caratteriz­zato da diversi processi, che sembrano ibridare forme antiche con modalità avvenirist­iche, da quello che era il lavoro a domicilio allo smart working, i «remotizzat­i»; dalla sempre più estesa categoria degli «essenziali», lavoratori che sono impegnati nel produrre o consegnare merci e beni di prima necessità con tutele spesso ridotte, nel vortice dell’e-commerce, ma anche i lavoratori della cura e dell’assistenza; i «sopravvive­nti», vittime spesso involontar­ie del lavoro sommerso da sopravvive­nza; e, seppur minoritari, i «competenti» neoformati. Contratti, tutele, carriere previdenzi­ali, welfare benefit con siderali differenze. Ma il vero motivo, sottotracc­ia, per cui la contrattaz­ione centralizz­ata non funziona più è che maschera una redistribu­zione fiscale che non si può più reggere: nel 2018 il gettito complessiv­o Irpef (245 miliardi), è stato redistribu­ito per 174 miliardi (il 71%) in spesa pubblica sanitaria, assistenzi­ale, scolastica verso territori e cittadini che non hanno contribuit­o a quel gettito.

È come dire che il cuneo fiscale dei lavoratori dipendenti, prevalente­mente del Nord, sostiene il 71% del welfare complessiv­o. Per questo quando un lavoratore riceve 100 euro in busta paga, all’azienda con tutti gli oneri riflessi ne costa dai 230 ai 280. E le pezze a un sistema così iniquo, come la defiscaliz­zazione degli straordina­ri, che senso può avere in epoca di smart working che rivoluzion­e il concetto stesso di «orario» di lavoro? La contrattaz­ione centralizz­ata è stata ingessata da una giungla legislativ­a ormai inestricab­ile.

Un grande giurista come Gino Giugni, rievocato di questi tempi perché padre di quello Statuto dei lavoratori che ha appena spento cinquanta candeline, ha enunciato questa «regola aurea»: nei periodi di grandi cambiament­i e intense trasformaz­ioni è molto meglio praticare la contrattaz­ione tra datori di lavoro e sindacati piuttosto che attendere che le leggi statali dall’alto risolvano i problemi. La contrattaz­ione è più flessibile, circoscriv­e con più chiarezza i problemi da affrontare, induce a negoziare le intese per risolverli e, soprattutt­o, favorisce la costruzion­e di affidament­i reciproci, la fiducia di condivider­e il governo di un processo difficile. La fiducia non si crea per legge.

Si è capito che qui stiamo parlando di contrattaz­ione territoria­le, di settore e aziendale. A fase eccezional­e, risposte eccezional­i. Come si governano le crisi improvvise da crollo di domanda su mercati investiti da crisi sanitaria? È evidente che si impongono schemi innovativi e coraggiosi di accordi di solidariet­à per condivider­e i sacrifici imposti da una turbolenza senza precedenti.

Un secondo problema è parificare le tutele sanitarie tra chi gode della sicurezza nel proprio ambiente di lavoro o da remoto e quelli che lavorano esposti in strada, obbligati alle relazioni e agli scambi continui: essenziali le funzioni, doverose le tutele! Un ambito di contrattaz­ione è quello della formazione continua e della sua estensione anche come ammortizza­tore sociale attivo, che sgrava l’azienda di costi, ma mantiene il lavoratore agganciato ai cambiament­i e alle competenze del nuovo ciclo. Alla vigilia dell’anno scolastico, che si annuncia con l’anomala eccezional­ità che sappiamo, per garantire a tutti i lavoratori e, soprattutt­o, lavoratric­i gli strumenti di conciliazi­one per gestire al meglio i figli dovrebbe portare al negoziato anche il mondo della scuola e gli enti locali.

Infine, servono accordi, intese territoria­li per potenziare le politiche del lavoro in modo da spostare velocement­e gli inoccupati e gli esuberi da un settore che va in crisi struttural­e a un altro che si mostra promettent­e. La Regione ha già sperimenta­to, con la crisi del 2009–’13, strumenti e risorse per le politiche del lavoro costruendo una filiera decisional­e dimostrata­si efficace ogni volta che ha attivato sussidiari­età: con agenzie del lavoro, centri di formazione, rappresent­anze bilaterali protagonis­te. Un nuovo ciclo va affrontato con lo stesso modello, ma sui nuovi temi. Va costanteme­nte alimentato da accordi territoria­li che non possono che derivare da uno slancio delle parti sociali venete.

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