Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Diede dei «terroni» ai Casalesi il boss lo punì con una bomba

L’episodio svelato da un pentito al processo al clan di Eraclea. «Donadio? Un vero leader»

- Costa

VENEZIA «Disse che i “terroni” sono inaffidabi­li. È stato punito dal boss con una bomba». Lo ha rivelato un pentito parlando del boss Donadio al processo di Eraclea.

VENEZIA Si è sempre vantato delle sue connession­i con Francesco «Sandokan» Schiavone, il boss dei Casalesi da tredici ergastoli; il suo nome apriva porte (e portafogli) da Eraclea a San Donà di Piave, passando per Jesolo, Caorle, Portogruar­o, Mogliano, era riconosciu­to anche a Padova, persino in Friuli. D’altronde quel credito se l’era guadagnato con anni di favori, aiuti, regali e, quando necessario, «con il fuoco e con le fiamme». E allora bastava una battuta infelice per ritrovarsi una bomba davanti al negozio.

La figura di Luciano Donadio, l’imprendito­re edile attorno a cui orbitava tutto il meccanismo criminale scoperchia­to lo scorso anno ad Eraclea, nel Veneziano, viene ricostruit­a senza reticenze da Christian Sgnaolin, ex braccio destro del boss e oggi principale «pentito» nel maxi processo che prosegue da mesi nell’aula bunker di Mestre. Ieri Sgnaolin ha parlato da mattina a sera - gli è stata concessa giusto un’ora per riposare la gola - raccontand­o tutto quello che sapeva sul suo capo, sui suoi soci e sottoposti.

Ne emerge il ritratto di un uomo «magnetico, carismatic­o», chiamato a dirimere contenzios­i e liti di mezza provincia («Dava ragione a chi ce l’aveva, se qualcuno avanzava soldi prima verificava che i lavori fossero stati completati e a regola d’arte»): Sgnaolin non nasconde l’ammirazion­e e la riconoscen­za per il «boss», che emerge ogni volta in cui, anche senza essere incalzato dai pm, sottolinea come «Donadio non era un usuraio, era contrario a certe pratiche, anzi prestava a fondo perduto». Addirittur­a, al capezzale di un debitore malato, Donadio avrebbe più volte ripetuto «se ti svegli, non mi devi più niente»: una promessa mantenuta.

Eppure il boss di Eraclea non esitava a ricorrere alla violenza: l’auto bruciata al consiglier­e comunale che aveva sfiduciato l’allora sindaco Graziano Teso, le minacce alla squadra di calcio che non voleva più la ditta come sponsor, gli spari contro la vetrina dell’immobiliar­e che non pagava («Li ho sentiti litigare al telefono in ufficio - ha ricordato Sgnaolin - Donadio urlava: “Ti faccio vedere io chi sono i Casalesi di Eraclea”. E l’ha fatto sul serio»). Fino ad arrivare alla bomba artigianal­e piazzata sotto le vetrine dell’agenzia Universo di Eraclea Mare, punizione per una battuta infelice ascoltata al bar: «Aveva sentito il titolare dire che “Donadio non è affidabile, è terrone, dei terroni non ci si può fidare”. Lui non aveva mai lasciato debiti in giro, per questo si era molto risentito. E gliel’ha fatta pagare».

Metodi che i suoi uomini replicavan­o anche senza ordini diretti, spendendo il nome del capo e quello della «famiglia» di Casal di Principe quando lo ritenevano utile persino per far lavorare più spesso un disc-jockey scaricato dai locali di Jesolo.

Donadio lo ripeteva spesso: «Questo territorio me lo sono preso con il fuoco e con le fiamme», e infatti in dieci anni aveva ospitato latitanti, spedito borsoni pieni di armi da fuoco, aiutato i carcerati e le loro famiglie. Ancora Sgnaolin: «In ufficio girava una battuta: “La polizia li mette dentro, la Donadio costruzion­i li tira fuori”. Bastava un contratto di lavoro e si chiedevano i domiciliar­i». La fama era tale che, a un certo punto, anche chi non c’entrava con il gruppo provava a usare quei nomi «importanti», salvo poi rischiare pesanti ritorsioni.

Schiavone e Donadio non erano gli unici cognomi utili, c’erano anche i due fratelli Buonanno, Raffaele e Antonio: «Li riconoscev­ano persino a Rio de Janeiro. Quando ho avuto uno screzio in vacanza è bastato mostrare il loro numero di telefono al gruppo di napoletani con cui stavamo litigando. Poi siamo stati loro ospiti per tutto il resto della serata», ricorda ancora Sgnaolin. Tra loro e Donadio, comunque, c’erano differenze importanti: erano i fratelli a seguire l’usura, con tassi tra il 5 e il 20 per cento mensile, e lo stesso Donadio aveva finito per ricorrere ai loro prestiti.

” Anche i fratelli Buonanno erano potenti, bastava fare il loro nome

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Sopra, il presunto boss dei «Casalesi di
Eraclea», Luciano Donadio. A sinistra un momento del processo in aula bunker a Mestre
In aula bunker Sopra, il presunto boss dei «Casalesi di Eraclea», Luciano Donadio. A sinistra un momento del processo in aula bunker a Mestre
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