Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Uccise il genero, condannato un novantenne
Il delitto avvenne a Silea nel maggio del 2019. Vista l’età avanzata l’assassino non andrà in carcere
TREVISO Il 19 maggio 2019 imbracciò un fucile da caccia e fece fuoco, freddando il genero Paolo Tamai. Per questo, ieri, il 92enne di Silea Giovanni Padovan è stato condannato a 15 anni per omicidio.
SILEA (TREVISO) La mattina del 19 maggio 2019 imbracciò un fucile da caccia e fece fuoco, freddando il genero Paolo Tamai con un colpo al volto. Per questo, ieri, il 92enne di Silea (Treviso) Giovanni Padovan è stato condannato con rito abbreviato a 15 anni e 4 mesi per omicidio volontario.
L’anziano, difeso dall’avvocato Fabio Crea, rischiava di dover affrontare un processo in Corte d’assise e l’ergastolo, ma il pubblico ministero Davide Romanelli non gli ha contestato le aggravanti aprendo la via al rito alternativo. Il gup Piera De Stefani lo ha anche condannato al versamento di una provvisionale a favore dei familiari della vittima, cioè sua figlia Anna, le due nipoti, il genero e due pronipoti per 335 mila euro.
L’uomo, dopo essere rimasto in carcere quattro mesi, si trova ora agli arresti domiciliari in una struttura per anziani. La difesa ha già annunciato il ricorso in appello ma anche quando la condanna dovesse diventare definitiva, difficilmente, vista l’età, Padovan tornerà in cella.
Quello di Paolo Tamai è stato un delitto maturato nell’alveo di difficili rapporti familiari. Il 92enne, rimasto vedovo, viveva in una porzione della stessa abitazione in cui risiedevano anche il 67enne e la moglie. Ma tra l’anziano e la figlia i rapporti si erano deteriorati tanto che l’anziano viveva, di fatto, accudito da una lontana parente e isolato dal resto della famiglia. Subito dopo aver sparato, Padovan si era chiuso in casa dove lo avevano trovato i carabinieri. Su disposizione della procura e richiesta della difesa il 92enne è stato sottoposto a una perizia psichiatrica che ha accertato come, pur con una capacità di intendere e di volere «lievemente scemata», Padovan fosse in grado di sostenere un processo.
L’anziano non era presente in aula. C’erano invece la moglie della vittima, Anna Padovan, e gli altri familiari che, assistiti dall’avvocato Stefano Pietrobon, si sono costituiti parte civile: «La famiglia aspettava questa sentenza per rendere giustizia a Paolo Tamai - spiega il legale - e soprattutto perché fosse chiarito come l’imputato non avesse sparato perché esasperato dal genero. Il processo ha dimostrato che l’omicidio è stato frutto di un gesto privo di qualsiasi giustificazione. Efferato anche per l’assenza di pentimento».